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Social Impact Investing, come condividere i risultati economici e consentire la remunerazione degli investimenti.

di Pasquale Russiello

Abstract

L’articolo affronta la tematica del Social Impact Investing, una innovativa forma di erogazione di servizi sociali rivolta maggiormente ai Comuni. L’autore illustra l’architettura dello strumento che sarebbe in grado di ridurre i tempi ed i costi di predisposizione degli avvisi pubblici ed al contempo qualificare l’attività di riscontro della performance.

L’ultima pubblicazione di Fondazione CRT e Human Foundation oltre a fornire un primo concreto esempio di come sia possibile affrontare il complesso tema delle metriche di valutazione sulle quali progettare gli investimenti ad impatto sociale, offre importanti spunti di riflessione in merito al possibile percorso amministrativo che la Pubblica Amministrazione può adottare per sperimentare questa innovativa forma di erogazione.

La progettazione del servizio con i criteri di remunerazione incrementale (a risultato) e la soluzione amministrativa per poter dar corso ad affidamenti che prevedano come aspetto fondante una componente di rischio, costituiscono allo stato gli aspetti decisivi per una piena diffusione del Social Impact Investing in Italia. Per consentire un allargamento della sperimentazione di servizi sociali erogati con un modello che preveda “un rischio di mercato” occorre necessariamente definire una modalità di affidamento in concessione di tali servizi, simile agli strumenti di compartecipazione del rischio tra pubblico e privato adottati in altri ambiti. Per dar corso ad una più diffusa analisi dei casi potenzialmente rientranti nelle operazioni di Social Impact Investing, si ritiene utile promuovere ai vari livelli della Pubblica Amministrazione la conoscenza dell’architettura dello strumento e dar corso ad una progettazione di massima che consenta, da un lato, di scendere nei dettagli dell’argomento ed avere contezza dell’effettivo potenziale insito nel cambio del criterio di remunerazione delle prestazioni e dall’altro, di verificare su quali casi è concretamente possibile sperimentarne la fattibilità.

Prendendo ad esempio il caso dei Comuni, laddove cresce sistematicamente la domanda di servizi pubblici e la disponibilità di risorse finanziarie non segue tassi incrementali analoghi, è possibile muovere un primo passo verificando l’interesse e la presenza di competenze in grado di eseguire una simulazione e progettare la revisione delle modalità di erogazione di determinati servizi. Una tale iniziativa creerebbe le condizioni di fondo affinché, una volta risolti i dubbi sulle modalità di riconoscimento dei ‘’premi di risultato’’ e chiarito il percorso amministrativo da seguire, si possa dar corso, senza indugio, ad un impiego strutturale di questo efficacissimo strumento.

Il consolidamento del know how nelle varie fasi di implementazione dello strumento e la stratificazione di nuove e diversificate esperienze porta, inoltre, a ridurre i tempi ed i costi per predisposizione degli avvisi e qualificare l’attività di riscontro delle performance.

Volendo simulare un primo caso pratico, è possibile selezionare un soggetto attuatore che presenti una proposta di gestione di servizi in concessione ai sensi dell’art. 183 del D.Lgs. 50/2016. Ferme restando le incertezze sull’applicabilità del richiamato articolo alla prestazione di servizi con la modalità pay by result, analizzando le fasi di tale procedura è possibile analizzare uno degli aspetti propedeutici alla fase di attuazione.

La proposta da redigersi a cura del privato deve infatti contenere, tra l’altro, un progetto di fattibilità corredato da un piano economico finanziario asseverato, ed una dettagliata illustrazione delle caratteristiche del servizio e della gestione.

In considerazione delle peculiarità di alcuni servizi quali, a titolo di esempio, l’assistenza ai richiedenti asilo ed agli immigrati con le attività di inserimento lavorativo, oppure attività di contrasto alla dispersione scolastica, ci si trova di fronte ad una situazione nella quale i criteri selettivi per la scelta del concessionario devono prevedere una migliore performance in termini di accelerazione dei tempi di reinserimento o riduzione della permanenza media in un centro di assistenza, di reintroduzione nel circuito scolastico nell’ipotesi di abbandono precoce.

Tali performance, però, presentano una difficile traduzione in termini economico-finanziari, in quanto il minor valore delle prestazioni che verranno sostenute dalla Pubblica Amministrazione non è un effetto del “rischio di mercato” così come viene inteso nel project financing, ma è l’esatto opposto, ovvero il risultato di una gestione efficace realizzata dal soggetto attuatore. In tal caso, quindi, la condizione di risparmio per la PA equivale a minor utile dell’operatore privato.

Se, pertanto, il modello della concessione prevede un rischio finanziario per l’investitore che contribuisce alla copertura dei fabbisogni di cassa per spese correnti ed investimenti correlate al servizio, le minori entrate non possono considerarsi quali effetti del rischio di mercato, ma sono il risultato positivo ottenuto grazie ad una corretta gestione. Restando nelle ipotesi di cui si diceva, si prefigura infatti un’ipotesi per la quale, la prestazione erogata è tanto più performante, quanto minore è la quantità di soggetti che richiedono il servizio. Intendendo per “mercato” la domanda di prestazioni, il modello pay by result misura la sua efficacia e valore economico sulla base della riduzione della quantità di soggetti che necessitano di servizi e dunque, su una sostanziale riduzione della domanda. Nell’ipotesi della concessione, il network composto da soggetto attuatore, investitore ed eventuali garanti, al ridursi della domanda farà registrare un minor ricavo e dunque minori utili, salvo poi compensare questa perdita con un “premio” da condividere con la Stazione appaltante. 

Questa ipotesi può risultare vincente qualora i costi marginali per l’erogazione delle prestazioni fossero, da un dato quantitativo in poi, superiori ai ricavi. Caso incompatibile con i principi di sostenibilità del piano economico-finanziario posto alla base della proposta.

La natura del rischio alla base del Social Impact non è propriamente di mercato bensì di investimento. L’investitore, in effetti, può non rientrare della totalità del finanziamento in presenza di risultati inferiori ad una data soglia posta come condizione minima prevista nel contatto di concessione. Il premio del rischio è dato, invece, dal maggior valore riconosciuto sempre dalla Stazione appaltante per performance superiori rilevate secondo i criteri di cui si diceva.

A titolo di esempio: se un soggetto erogatore ritiene di poter prestare un servizio con metodologie innovative che comportano la riduzione dei propri ricavi, in assenza di un sistema di compensazione del cash flow generato dalle prestazioni incrementali, rinuncia, di fatto, autonomamente ad una parte dei profitti e complica, non pregiudica, il raggiungimento del punto di pareggio. Altra è l’ipotesi nella quale l’affidamento preveda, come criteri di aggiudicazione, la concessione di un servizio ponendo come base di gara l’efficientamento o al miglioramento qualitativo di tali servizi ed il pagamento in base al raggiungimento di un determinato risultato: valore che consente la remunerazione di tutti i fattori produttivi e del capitale investito.

Risultati migliori di quelli pattuiti, invece di riflettersi esclusivamente in un minor ricavo per il gestore, dovrebbero generare: per la PA, un risparmio costituito dal minor impiego di fattori produttivi, per il soggetto attuatore, il riconoscimento di una quota – e non della totalità, non essendo stato sopportato alcun rischio operativo- dell’EBITDA marginale non percepito, consentendogli di remunerare adeguatamente il capitale investito.

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