Economia Lavoro L’impatto dirompente del lavoro agile: quali prospettive?

L’impatto dirompente del lavoro agile: quali prospettive?

di Claudia Peiti* e Serena Bognanni*

Il sentiment comune sembra aver già individuato nel lavoro agile una nuova normalità. Per la prima volta si dispone però di un esperimento naturale di vastissima scala. Per trarre il meglio è bene partire dall’osservazione di quanto questo esperimento ha messo in luce.

L’impiego dello smart working ha conosciuto una effettiva diffusione nel corso del 2020, sotto la spinta dell’emergenza sanitaria per Coronavirus (Covid-19), portando tutte le realtà economiche a sperimentare l’utilizzo del lavoro agile, o forse più realisticamente del lavoro da remoto.

Uno studio del Politecnico di Milano evidenziava come nel 2019, nel 71% delle pubbliche amministrazioni analizzate non era stata avviata nessuna iniziativa volta all’adozione del lavoro agile, un dato non lontano dalle piccole e medie imprese (67%) cui fanno da contraltare solo le grandi imprese private in cui questo valore era pari al 30%.

Le informazioni più recenti sulla diffusione dello smart working nella Pubblica Amministrazione si riferiscono invece a novembre 2020, quando un’analisi svolta da FormezPA rende noti gli esiti del monitoraggio su circa 2.000 amministrazioni e riferite ad un arco temporale che va da gennaio a settembre, con le amministrazioni centrali che sfiorano il 70% del personale, mentre gli enti locali si assestano su circa il 30%. Un risultato che non può stupire essendo gran parte il riflesso dell’impatto dirompente dell’aspetto emergenziale.

Accantonando poi per un istante l’evidenza empirica, un primo riferimento al lavoro agile veniva introdotto per la pubblica amministrazione già nel 2015 (L.214/2015), cui era seguita una direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica (cosiddetta Direttiva Madia) del 2017 che a sua volta conteneva indicazioni operative e metodologiche per l’adozione del lavoro agile. Il legislatore lo poneva tuttavia in un contesto di natura sperimentale, la cui finalità era promuovere l’utilizzo nelle amministrazioni di modalità flessibili di lavoro al fine di assecondare le esigenze di conciliazione di vita-lavoro, ma anche un’organizzazione orientata al raggiungimento degli obiettivi e alla valutazione dei risultati e quindi delle performance professionali e organizzative.

L’incentivazione nelle amministrazioni pubbliche nell’utilizzo di modalità di lavoro flessibili veniva associata ad un obiettivo quantitativo che prevedeva che, entro 3 anni, almeno il 10% dei dipendenti usufruissero delle modalità di lavoro flessibili su base volontaria.

Il quadro normativo-organizzativo che disciplina il lavoro agile è stato impattato da misure di tipo straordinario adottate a causa dell’emergenza sanitaria (Covid-19): le amministrazioni pubbliche sono state sollecitate a potenziare l’adozione dello smart working attraverso l’individuazione di modalità più semplificate, seppur temporanee, di accesso al lavoro da remoto. Ad un intervento rapido ed efficace per adattarsi alle nuove condizioni di lavoro durante la fase emergenziale è poi seguita una disciplina articolata, con l’introduzione dei Piani Organizzativi del Lavoro Agile nelle pubbliche amministrazioni (POLA) e delle correlate linee di indirizzo (Linee guida del Dipartimento della Funzione Pubblica, dicembre 2020).

Ancora una volta, la promozione nell’utilizzo di modalità di lavoro flessibili viene associata dal legislatore ad un obiettivo quantitativo superando la precedente indicazione (almeno il 10% dei dipendenti in tre anni) e prevedendo, per le attività che possono essere svolte in modalità agile, che almeno il 60 per cento dei dipendenti possa avvalersene e in caso di mancata adozione del POLA, l’amministrazione deve comunque garantire ad almeno al 30% dei dipendenti che lo richiedano la possibilità di fruire del lavoro agile.

A questo punto le indicazioni metodologiche e quantitative non mancano.

Le linee guida fanno perno sul cambiamento della cultura organizzativa, la quale spinta dell’utilizzo del digitale, si muove da una prestazione lavorativa svolta in una sede e in un orario definito verso attività lavorative che possono essere svolte al di fuori della propria sede e in orari non necessariamente prestabiliti. Il cambio di cultura organizzativa trova fondamento in una serie di presupposti, che vanno da modelli organizzativi fondati sulla programmazione e sul perseguimento dei risultati (anziché di ore lavorate), una maggior autonomia e capacità decisionale che incentiva lo sviluppo sulle risorse umane di una responsabilità di risultato (anziché di mera prestazione), fino al superamento dell’identificazione della sede di lavoro con lo spazio messo a disposizione del datore di lavoro stesso.

I dati mostrano un utilizzo elevato del lavoro agile e una pubblica amministrazione che ha investito in infrastrutture tecnologiche[1]. Ma siamo sicuri che questo sia sufficiente per dichiarare la transizione avvenuta? Un utilizzo stabile del lavoro agile implica un ripensamento più complessivo dell’organizzazione e della cultura organizzativa.

L’esperienza accumulata durante l’emergenza resterà, oltre che come occasione non replicabile di apprendimento collettivo, come nuovo capitale di conoscenza tecnico-organizzativa e come concreta aspettativa di miglioramento della qualità della vita di lavoro per milioni di persone.

Perché l’esperienza accumulata non si traduca però in un mero adempimento quantitativo è necessario comprendere quanto imparato, mettendo in luce benefici e criticità, ma soprattutto evidenziando quali sono i prerequisiti perché il lavoro agile possa diventare una scelta organizzativa stabile che migliora l’amministrazione da un lato e aggiunge soddisfazione al lavoratore dall’altro.

In questo ambito, IFEL Campania ha scelto di promuovere, in collaborazione con REF Ricerche, un’indagine su quanto avvenuto nel territorio campano, credendo che nelle esperienze di fatto vi siano le evidenze più chiare di cos’è stato, cos’è e cosa sarà il lavoro agile per i propri comuni.

Obiettivo del percorso è quello di comprendere cosa sottendono i dati quantitativi rilevati su scala nazionale durante il periodo emergenziale e quali sono le difficoltà incontrate. Attraverso il racconto di chi si è trovato a dover implementare il lavoro agile nel proprio ente, si intende ripercorrere l’individuazione delle attività che possono essere svolte da remoto, le semplificazioni che si sono introdotte, il percorso che ha portato all’affiorare di ostacoli e al loro superamento.

Rendere la sperimentazione “forzata” dal Covid-19 un terreno fertile per mettere in luce quanto concretamente le amministrazioni hanno dovuto fronteggiare significa dunque interrogarsi sulla necessità dei mezzi strumentali, sulle conoscenze informatiche, ma anche sulle capacità di coordinamento a distanza, sulla responsabilità dei dipendenti e la supervisione dei risultati, e così via.  I risultati, soprattutto alla luce delle recenti disposizioni normative che ne promuovono l’utilizzo (POLA e quote di personale in smart working), saranno oggetto di condivisione con gli enti campani e soprattutto potranno costituire punto di avvio di un confronto permanente sul tema.

Tra i primi risultati emerge come il “successo” del lavoro agile dipenda in larga misura dal livello di esperienza sviluppata nel corso del tempo: aver avuto in precedenza un adeguato livello di digitalizzazione dei processi e una buona dotazione informatica ha significato disporre di un vantaggio competitivo per le organizzazioni che quindi hanno più semplicemente potuto canalizzare i loro sforzi su altri fronti come la formazione ad hoc del personale o il miglioramento dei servizi resi all’utenza.

Dall’altro lato emerge come soprattutto nei comuni di più piccola dimensione l’esigenza di un utilizzo stabile del lavoro agile non sembra trovare riscontro nelle preferenze dei dipendenti, che molto spesso vivono in prossimità della sede comunale. O ancora di più come, a fronte di una digitalizzazione dei servizi, di fondamentale importanza sia anche il grado di conoscenza digitale dell’utenza.

Emerge come le scelte dell’amministrazione siano state dettate anche dalla tipologia di utenza servita, nello specifico dall’esigenza di garantire l’incontro con quella fascia di utenza che fatica a raggiunge digitalmente i servizi.

Formazione e nuove modalità di comunicazione costituiscono un altro pilastro nell’introduzione del lavoro agile. Sul primo aspetto il confronto diretto con gli amministratori ha messo, ad esempio, in luce come in alcuni casi il ricorso ad una formazione generalizzata sulle competenze digitali, accentua anziché chiudere il divario digitale, in quanto trascura le resistenze al cambiamento dei singoli, più facilmente superabili a fronte di un affiancamento ad hoc.

Analogamente il coordinamento tra dipendenti e con i propri responsabili ha portato le amministrazioni a sperimentare diverse combinazioni nell’utilizzo del lavoro in remoto, dall’individuazione di una figura in presenza stabile in ogni settore, all’introduzione del lavoro agile orizzontale, fino alla completa sola organizzazione di momenti di confronto in remoto.

Non mancano poi i riferimenti ai temi del controllo dei risultati, all’utilizzo o meno delle proprie dotazioni strumentali, così come la consapevolezza che alcune modalità di erogazione del servizio (ed esempio, il servizio su appuntamento), si sono rivelate soluzioni da portare “nel nuovo normale”, sia per una maggior organizzazione del comune nel servizio da erogare che per l’utenza stessa che, “forzata” all’utilizzo, ha potuto apprezzarne il beneficio.

Gli spunti della ricerca sono molti e ancor in divenire. La prospettiva di allentamento dei vincoli dovuti della pandemia si contrappone oggi ad una situazione ancora emergenziale, rendendo ancora più prezioso il bisogno di comprendere cosa sta succedendo per tracciare le linee di ciò che la pubblica amministrazione dovrà affrontare in futuro.

Certo è che la resilienza mostrata dagli enti sta permettendo di individuare soluzioni che possono essere mutuate e, se ben analizzata, porterà ad una mappa (o sicuramente a più d’una) del percorso da seguire.

[1] Durante l’emergenza, un investimento mirato in tecnologia ha interessato circa la metà degli enti pubblici. È quanto rileva la Banca d’Italia nella sua indagine sull’evolversi dell’adozione dello smart working nella pubblica amministrazione durante la situazione emergenziale. Nel campione di indagine, inoltre, oltre al 60% degli enti che ha investito nel potenziamento delle dotazioni individuali, la metà degli enti ha investito nell’infrastruttura tecnica dell’ente e circa il 45% in sviluppi tecnici specifici.

*REF Ricerche

Ultime Notizie

Opzioni Semplificate di Costo: uno strumento per migliorare l’attuazione dei fondi europei 2021 – 2027

di Salvatore Tarantino Uno degli obiettivi dichiarati della Commissione Europea per l’attuazione delle politiche di Coesione nel nuovo ciclo di...

Piano per l’autonomia idrica, Barretta: «La Regione si è mossa prima del Governo»

di Lucia Serino Corre Antonello Barretta, da buon maratoneta. «La Regione Campania ha fatto un piano degli invasi per la...

Piano per l’autonomia idrica, Mascolo: «Uno sforzo enorme per la programmazione»

di Lucia Serino  «Guardiamo al futuro con una prospettiva più dinamica e moderna, attraverso un’accurata gestione delle risorse e tenendo...

Il saluto del Direttore: cinque anni di storie e crescita

di Giovanna Marini Cari lettori, è con un misto di emozioni che mi rivolgo a voi annunciando il mio addio...

Rafforzamento della capacità amministrativa: le assunzioni di personale del Programma Nazionale Capacità per la coesione 2021-2027 (PN CapCoe)

di Redazione  Il PN CapCoe – forte di una dotazione complessiva di 1.267.433.334 €, dei quali 1.165.333.334 € per le...

Potrebbero interessarti
Raccomandati