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Le campagne italiane rischiano di svuotarsi: i lavoratori stranieri sempre più attratti da Germania e Olanda

di Nino Femiani

Fra caporalato, lungaggini burocratiche, vaccini non riconosciuti e troppe trattenute su aziende agricole e busta paga, i braccianti extracomunitari disertano i nostri campi. A vantaggio dei Paesi Ue che pagano meglio e garantiscono migliori condizioni generali

La trasformazione dell’Italia in un Paese di immigrazione risale agli anni ‘80, ma il fenomeno migratorio acquista una consistenza significativa negli anni ‘90, tanto che l’Istat avviò, a partire da allora, la raccolta sistematica di statistiche con l’introduzione del quesito sulla cittadinanza nella maggior parte delle rilevazioni e nell’elaborazione dei dati di tipo amministrativo. Tra gli anni ‘80 e la prima decade del 2000 il numero di stranieri residenti in Italia è aumentato in modo significativo passando da 210mila nel 1981 ai 5 milioni 756mila nel 2021, portando l’incidenza degli stranieri residenti dallo 0,4% al 10% della popolazione e facendo recuperare la distanza con altri paesi europei di più consolidata tradizione immigratoria. L’apporto dei lavoratori stranieri in agricoltura è divenuto un elemento strutturale e caratterizzante del settore (cfr. De Rosa M., Bartoli L., Leonardi S., Perito M.A. (2018), Foreign agricultural workers’ profile in agricultural territorial systems of Italy).

All’inizio del nuovo secolo, la percentuale di lavoratori stranieri in agricoltura era ancora piuttosto contenuta, il 4,3% nel 2004 (primo anno in cui l’Istat distingue la cittadinanza nelle forze di lavoro), ma in lento aumento. Con l’ingresso di Romania e Bulgaria il ritmo di crescita diventa sostenuto, nel 2010 la percentuale è già più che raddoppiata, arrivando al 9,2%, ma ancora in linea con l’incidenza degli stranieri sul totale dell’occupazione italiana (9,3%). Dopo il 2008, invece, si assiste in agricoltura a una progressiva sostituzione dei lavoratori italiani con cittadini stranieri che, nel 2020, arrivano a rappresentare il 18,5% del totale (che sono circa 900mila), ovvero quasi 172mila, ben al di sopra del loro peso sulla media dell’economia (10,2%). (L’impiego dei lavoratori stranieri nell’agricoltura in Italia. Anni 2000-2020 – a cura di Maria Carmela Macrì per Crea).

In Campania, gli occupati stranieri aumentano del 39,2% nel periodo 1999-2008 e del 18,8% dal 2008 al 2015. Valutando il fenomeno nell’intero arco temporale, si nota che la presenza di extracomunitari in agricoltura diviene sempre più significativa, infatti la variazione percentuale, calcolata tra il 1999 e il 2015, è del 65,3%. Anche in Campania come altrove, prevale il lavoro agricolo saltuario, che si riflette in una netta predominanza di contratti stagionali, sia per gli extracomunitari sia per i comunitari, ma si capisce che per far andare avanti le quasi centomila aziende agricole campane sono necessarie le braccia degli immigrati. Secondo la Coldiretti per svolgere oggi i lavori nelle campagne italiane servono circa centomila stagionali. Il «Decreto flussi» di dicembre 2021, che regola l’ingresso nel nostro Paese di manodopera da Paesi extra Ue, permette l’arrivo di 42mila unità per il settore agricolo e turistico. Ma c’è lentezza nelle procedure d’esame delle richieste d’ingresso. A maggio aveva varcato i confini solo il 20% della quota stabilita, cioè circa 8.400 persone anche per il mancato riconoscimento di vaccini somministrati nei paesi extracomunitari, come il Sinopharm cinese o lo Sputnik russo. Non c’è solo il problema burocratico. Il clima sta cambiando: con la recessione ormai alle porte la capacità attrattiva dell’Italia è fortemente diminuita, e già nei primi sei mesi del 2022 si registra una riduzione del 2,8% delle presenze nelle nostre campagne. Non solo manca mano d’opera, ma quella che c’è se ne sta andando in altri paesi per tre motivi. Primo: in genere sono persone vaccinate nel paese d’origine e con vaccini non riconosciuti dall’Ue; quindi, si vengono a trovare in forte difficoltà. Secondo: in Germania ed Olanda c’è più flessibilità sul lavoro stagionale e questo si ripercuote sulla busta-paga, che può essere sensibilmente più corposa rispetto a quella in Italia, dove balzelli e rigidità finiscono per tosare la remunerazione. Terzo: all’estero, in genere, c’è una repressione maggiore del caporalato e quindi questi lavoratori subiscono meno angherie e umiliazioni (anche se ad aprile 2022 sono stati ripartiti 200 milioni di euro ai Comuni per il superamento degli insediamenti abusivi dei braccianti agricoli, obiettivo della “Missione 5 Inclusione e Coesione” del PNRR).

Tradotto in cifre, ci sono 15mila lavoratori stranieri che pensano di abbandonare le nostre campagne, soprattutto nel Meridione, e andare a lavorare all’estero. Diciamocela tutta: già fatichiamo a trovare un numero sufficiente di persone disposte al lavoro agricolo, se si verifica questa fuga siamo rovinati.
La verità è che stiamo subendo una concorrenza spietata da Germania e Olanda che ci portano via gli agricoltori immigrati e noi non facciamo nulla né ci facciamo sentire in sede Ue. Se fino a ieri in politica era in primo piano la campagna anti-immigrazione (e ancora oggi sembra essere un miope cavallo di battaglia delle forze sovraniste in vista del voto del 25 settembre), adesso siamo all’opposto perché nelle campagne (ma anche in molti distretti industriali) si è alla disperata ricerca di lavoratori. Non è un caso che anche i governatori della Lega abbiano fatto inversione di marcia (ma talvolta non lo fanno sapere ai loro dirigenti). Gli italiani non si presentano a chi offre lavoro nei campi quindi abbiamo bisogno di mano d’opera straniera poiché non bastano quelli che già lavorano.

Secondo un’indagine dei produttori di pomodoro che aderiscono a Confindustria quest’anno, per la prima volta, tra il 25 e il 30% delle persone contattate che lo scorso anno avevano lavorato non ha accettato l’invito stagionale. Stesso problema per le cantine e le stalle. Germania e Olanda, e tra poco anche Austria e Belgio, stanno diventando mercati molto accoglienti e ci scippano non solo i braccianti extracomunitari, ma soprattutto gli operai agricoli specializzati che arrivano dalla Romania, dall’Albania, dalla Bulgaria, dalla Polonia e anche dal Marocco. Anche il Regno Unito, così severo per studenti che vanno a frequentare le università britanniche, sta pensando a un nuovo sistema per agevolare l’ingresso dei lavoratori e consentire alle aziende agricole britanniche di assumere fino a 30mila lavoratori stranieri da impiegare nel 2023 nella raccolta nei campi e nei lavori nelle serre, allungando il classico visto stagionale da sei mesi a tre anni. E in Italia? Si è preso coscienza del problema male e in ritardo, con l’obbligo di far lavorare nei campi solo personale vaccinato con i vaccini europei, troppe trattenute sulle aziende agricole e sulla busta paga dei braccianti. Il rischio è che le nostre campagne si svuotino sempre di più.

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