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Tracciabilità e controllo dal basso, così la Campania supera il problema rifiuti

di Nino Femiani

Nel giro di un anno e mezzo gli 11 impianti di compostaggio previsti dal piano della giunta regionale serviranno a soddisfare completamente il fabbisogno della Regione cancellando anni di emergenze, multe e infrazioni. Ma gli enti locali sono chiamati a fare la loro parte mancando di rivendicare la sindrome Nimby (not in my backyard= non nel mio giardino)

Campania autosufficiente sui rifiuti nel 2023. A prometterlo è Fulvio Bonavitacola, vicepresidente della Giunta della Campania e assessore regionale all’Ambiente. Termineranno dopo decenni «le migrazioni della monnezza», ovvero il viaggio degli autocompattatori oltre i confini regionali e nazionali. Come è stato possibile il miracolo? Come è stato possibile, dopo anni di scontri, contrasti e anche di sprechi, arrivare a un modello di sostenibilità che altre regioni d’Italia potrebbero invidiarci? L’autosufficienza sarà conquistata grazie a nuovi ecoimpianti ad alta innovazione tecnologica per il compostaggio che tratteranno la parte organica del rifiuto, realizzando una produzione industriale di biometano e compost destinato alla agricoltura.

Tutto rose e fiori? Non esagererei con l’ottimismo. Non solo perché manca ancora un anno e mezzo al fatidico 2023, ma soprattutto perché c’è da fare i conti con la storia, i conflitti locali e le ruggini politiche. Tre elementi che hanno sempre un peso.

Riavvolgiamo per un attimo il nastro. Il rapporto tra la Campania e i rifiuti non è mai stato semplice. Nel 1994 la gestione passò dai Comuni a un commissario per l’emergenza che per i successivi 15 anni sostituì la Regione e gli enti locali. Il risultato fu disastroso: nonostante la valanga di milioni spesi, la raccolta differenziata continuò a marciare con il passo della lumaca, sommandosi a danni economici e di immagine difficili da cancellare (ricordate le montagne di rifiuti fotografate sulle prime pagine del New York Times?).
Nel 2016, poco dopo la prima elezione di De Luca a Palazzo Santa Lucia, arrivarono due choc. Il primo fu la multa da 20 milioni di euro, comminata dalla Corte di giustizia Ue per il mancato adeguamento alle regole Ue del sistema di raccolta e gestione dei rifiuti in Campania (più una sanzione di 120 mila euro al giorno fino a che non si fosse creata una rete di gestione integrata). Una vera mazzata per la nuova giunta.

Il secondo choc, invece positivo, fu l’approvazione di una legge, la numero 14, che cambiò radicalmente la gestione dei rifiuti urbani in Campania con l’istituzione di ambiti territoriali ottimali (Ato). Si prevedeva di creare una governance in grado di restituire agli enti territoriali l’autonomia nella gestione del ciclo. La legge ne identificò sette: tre per la città metropolitana di Napoli e una per ciascuna delle altre province chiamate a governare una mole di rifiuti tra le più alte d’Italia. Fu un passo avanti importante, ma bisognava ancora scalare la montagna perché non tutto filò liscio. Cosa è cambiato in questi sei anni? Parecchio.

È vero che lo Stato finora ha versato per la Campania 239 milioni di euro, pagamenti ogni 6 mesi, con il ministero dell’Economia pronto a rivalersi sulla Regione per recuperare quelle somme. Ma finalmente in questo tempo si è capito che non si scherza più, che bisogna stringere i tempi. Un’opera non virtuale, ma fattuale tanto che a inizio 2021 sono state concordate con la commissione Ue le condizioni per ridurre la multa-monstre: un terzo in meno con l’entrata in funzione di Caivano e un altro terzo in meno con un altro impianto a Giugliano previsto nel 2022, impianti destinati alla rimozione delle ecoballe (una vecchia eredità: 4,4 milioni di tonnellate di balle accumulate da trenta anni).

Ogni anno in Campania si producono 2 milioni e 500mila tonnellate di spazzatura, il 54% è differenziata e il 46% è indifferenziata. Quest’ultima è la parte più problematica perché mentre i rifiuti differenziati vengono mandati negli impianti specifici per ciascun materiale, l’indifferenziata deve essere trattata negli Stir, gli stabilimenti di tritovagliatura ed imballaggio rifiuti.
Qui vengono selezionati e vagliati e, grazie all’utilizzo di appositi fori dalle dimensioni regolabili, è possibile selezionare il materiale da recuperare. In questo modo dopo il trattamento si ottengono essenzialmente due frazioni: una secca e una umida. Su quasi 870mila tonnellate di frazione secca prodotta circa 750mila vengono trattate dal termovalorizzatore di Acerra, le 120mila tonnellate eccedenti vengono trasferite fuori regione. La frazione umida, invece, deve essere biostabilizzata per diventare compost.
Il piano della giunta regionale prevede di realizzare 11 impianti di compostaggio distribuiti sull’intero territorio regionale per una capacità di quasi 290mila tonnellate l’anno che arrivano a soddisfare completamente il fabbisogno stimato in base ai dati Ismea. Gli impianti di compostaggio saranno situati nei comuni di Afragola, Pomigliano d’Arco, Tufino, Marigliano, Cancello Arnone, Casal di Principe, Teora ed Eboli mentre i nuovi impianti digestione anaerobica vedranno la luce a Chianche, Casalduni e Napoli Est.
La Regione, in maniera giudiziosa e condivisa, ha rinunciato alla costruzione di nuovi inceneritori (sul tipo di quelli che oggi vuole costruire Roma), si parla solo di una quarta linea ad Acerra, per spostare l’attenzione sulla realizzazione degli impianti di compostaggio e sulla raccolta differenziata dove bisogna fare certamente di più. Nel 2020 (dati Osservatorio Regionale sulla gestione dei rifiuti) la percentuale di differenziata è aumentata di 1,36 punti rispetto all’anno precedente. Nel dettaglio, sono stati differenziati 1.378.971.582 kg di rifiuti, con un incremento della raccolta pari a 14.891.006 kg. Tra le province, ottiene la performance migliore Benevento al 73,49% (+1,59% rispetto al 2019). Seguono: Salerno con il 65,74% (+1,34%); Avellino col 64,62% (+0,32%); Caserta attestata al 53,19% (+1,39%) e Napoli ora al 48,49% (+1,39%). Nel confronto con l’anno precedente tutte le province hanno visto un leggero incremento della capacità di raccolta differenziata. Nella ricomposizione in ambiti ottimali, da segnalare il recupero di Napoli 3 che raggiunge il 60,46%, con Napoli 2 al 52,03%.

Anche il tasso di riciclo è salito nel 2020, attestandosi al 41,73% (+0,83%), quindi in crescita rispetto al 2019. Il rapporto tra le province resta lo stesso, con Benevento davanti a Salerno (52,79% e 51,64% rispettivamente). Seguono Avellino (51,42%), Caserta (41,30%) e Napoli (51,64%). Complessivamente, i rifiuti urbani prodotti in Campania nel 2020 sono stati 2.560.489.798 kg (in flessione per 34.676.540 kg rispetto al 2019). Ogni cittadino campano nel 2020 ha prodotto in media 451 kg di rifiuti, 2 in meno nel confronto con l’anno precedente. La provincia che ne ha accumulato di più è Napoli, con 481 kg pro capite, mentre Avellino è l’ultima sul territorio regionale, con 356. Guardando alla suddivisione per ambiti ottimali, in testa c’è Napoli 1 con 502 kg, ben al di sopra della media regionale. La parte non differenziata dei rifiuti nel 2020 ammonta a 1.173.803.017 kg, 50.818.491 in meno rispetto al 2019.

Ora bisogna arrivare al traguardo finale. E si torna sulla questione aperta, l’impiantistica, con il malumore dei Comuni soprattutto verso la localizzazione degli impianti (alcuni non piccoli) di biodigestione nelle immediate vicinanze delle abitazioni civili. Certo non siamo alla riproposizione stucchevole della sindrome Nimby (not in my back yard = non nel mio giardino) che in passato ostacolò il completamento del ciclo dei rifiuti urbani in Regione Campania, ma il problema c’è, inutile negarlo. «Vogliamo collaborare con i Comuni, non passarci sopra a carrarmato», promette il governatore Vincenzo De Luca. Parole sagge. La Campania ha un assoluto bisogno di impianti di compostaggio a norma e ben gestiti, la realizzazione va fatta presto e con la condivisione degli enti locali.
Le due paroline magiche per coinvolgere le popolazioni locali ci sono, non bisogna inventarsele: tracciabilità e controllo dal basso. Solo così si può evitare che la discussione prenda la piega del “dove” e tralasci il “perché”, allungando la fila di amministratori che rivendicano l’agricoltura biologica, il turismo o lo stantio “abbiamo già dato”.

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