di Gianna Marini
Se si prova a leggere il Piano Nazionale di ripresa e resilienza facendosi guidare da una chiave di lettura diversa da quella comunemente usata per assorbire concetti espressi in “burocratese”, e cioè se si cerca un filo conduttore che colga le novità del linguaggio, esso potrebbe persino apparire come un’interessante trama di un libro che descrive, in varie tappe, il percorso comune che un intero Paese deve intraprendere per rinnovarsi. Cambiando completamente pelle, abitudini, consuetudini; superando pigrizia, pregiudizi, rassegnazione; dando agio all’intraprendenza, all’accettazione del rischio, alla speranza.
Le varie tappe si snodano assumendo il nome di “missioni”, che si raggruppano in “componenti”, che a loro volta si raggruppano in “linee di intervento”, e tutto ciò dà corpo allo sviluppo della trama che dovrà disegnare una nuova Italia inserita in una nuova Europa, una nuova idea di Paese inserita in una nuova idea di comunità europea: il tutto però accomunato al concetto più generale di “resilienza”, intesa sia come presa di coscienza della possibilità del ripetersi di eventi estremi, che come preparazione ad affrontarli.
La parola resilienza ha origine latina, dal verbo resilire, rimbalzare indietro ma anche ritirarsi, contrarsi. Ed insieme al significato psicologico che indica una capacità di resistere e di reagire di fronte alle difficoltà ed agli eventi negativi, vi è anche il significato più letterale e cioè la capacità di resistere agli urti senza spezzarsi. E questo la dice lunga sulla sottesa negatività del termine sostenuta da molti: comunque si tratta di fronteggiare eventi negativi e difficoltà estreme, comunque si tratta di prepararsi a ricevere urti e faticare per non spezzarsi!
Ma se il concetto di resilienza lo si intreccia a quello di ripresa, ad indicare il superamento dell’impatto sociale ed economico fortemente negativo che la pandemia ha impresso a tutti i Paesi colpiti, allora si che la resistenza all’urto mostra tutta la sua efficacia soprattutto se si aggiunge che dal “rimbalzo” ne uscirà qualcosa di inedito in termini di miglioramento radicale delle comunità. Il Piano, nel suo lessico incline a rinnovamento e speranza, parla della costruzione di un “tempo nuovo” dell’economia e della società italiane “tracciando le sfide del futuro che debbono guidare la direzione e la qualità dello sviluppo”.
Per attuare la ripresa ed il rilancio del nostro Paese, sono stati individuati tre assi principali attorno ai quali incardinare l’azione: la digitalizzazione e l’innovazione; la transizione ecologica; l’inclusione sociale.
Digitalizzazione e innovazione sono essenziali per il miglioramento dell’economia, della qualità del lavoro e della vita delle persone; a tal fine ogni processo, prodotto e servizio necessitano di innovazione sia in termini di nuova offerta che di nuova fruizione, e diventano prioritari investimenti in tecnologie, infrastrutture e processi digitali. Secondo l’indice annuale sull’innovazione della Commissione Europea l’Italia è un “innovatore moderato”, al di sotto della media dell’Unione. Ciò va superato ed il nostro Paese deve investire in ricerca e sviluppo nel pubblico e nel privato, al fine di competere a livello internazionale.
La transizione ecologica dovrà essere in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: bisogna disegnare un nuovo modello di sviluppo che dia corso a processi produttivi che riducano gli impatti ambientali con il ricorso all’agricoltura sostenibile, all’economia circolare, rispettando la natura pur mantenendo la vocazione industriale.
Fondamentale anche il concetto di inclusione sociale cui il Piano fa riferimento. Crescita inclusiva e coesione sociale e territoriale sono due obiettivi fondamentali da realizzare in un futuro più prossimo possibile al fine di ridurre drasticamente le disuguaglianze sia tra aree geografiche che tra persone. Vanno ridotti i divari infrastrutturali, occupazionali e di fruizione di beni e servizi fra il Nord ed il Sud del Paese, fra aree urbane ed interne, moltiplicando in tutto il territorio nazionale le opportunità di lavoro soprattutto per i giovani e per le donne.
Nel Piano sono poi indicate tre priorità definite “trasversali” dedicate alle donne, ai giovani e al Sud. La parità di genere viene inserita come criterio generale di valutazione di tutti i progetti al fine di realizzare una piena parità di accesso economica e sociale attraverso una strategia integrata di riforme ed investimenti in infrastrutture sociali e servizi di supporto; diventano prioritarie le politiche volte ad incrementare l’occupazione giovanile e lo Stato si fa garante della piena partecipazione dei giovani alla vita culturale ed economica del Paese, anche investendo in istruzione e ricerca; il criterio prioritario per l’allocazione territoriale degli interventi diventa la volontà di ridurre i divari tra Nord e Sud, finanziando progetti utili ad incrementare lo sviluppo del Mezzogiorno.
In conclusione, il PNRR disegna la volontà di afferrare la rara opportunità di poter usufruire dei 200 miliardi abbondanti del piano straordinario europeo, denominato Next Generation EU, per realizzare la trasformazione del nostro Paese in uno più moderno e innovativo e con una pubblica amministrazione resa efficiente dalla rivoluzione digitale; in uno più verde, attraverso moderni sistemi di produzione; in un Paese più unito che punta al benessere dei cittadini nell’intero territorio nazionale facendo anche riferimento alla salvaguardia della “bellezza” di cui l’Italia è fortunatamente ben fornita. Così come nessun Paese più dell’Italia potrà essere pienamente protagonista di questo che è stato indicato come il nuovo “Rinascimento europeo”.