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Blockchain e PA, nuovi strumenti per l’archiviazione e i pagamenti

di Stanislao Montagna

La blockchain è una tecnologia molto giovane nata negli anni novanta e applicata nei primi anni del 2000, che ha trovato popolarità grazie al suo recente utilizzo nel mondo delle criptovalute, in particolare del Bitcoin. Funziona come un registro decentralizzato e crittografato, nel quale vengono annotate in tempo reale innumerevoli operazioni in cui è possibile modificarne il contenuto solo dopo aver ricevuto il consenso da parte dei diversi calcolatori dislocati in molteplici parti del mondo e interessati nell’operazione. La ragione principale che spinge molti Paesi a scommettere sullo sviluppo della blockchain è quella di archiviare, certificare e condividere dati di vario genere in modo sicuro e trasparente, al fine, in particolare, di attuare il “Once Only Principle” (principio del “una volta sola”) citato nel piano di azione 2016-2020 della Commissione Europea. Principio secondo il quale gli enti pubblici dovrebbero condividere tra loro le informazioni, nel rispetto delle regole di riservatezza e protezione dei dati.

Inoltre, secondo l’Osservatorio europeo sulla blockchain, organo creato dalla Commissione Europea nel 2018, l’applicazione di tale tecnologia è utile per affrontare problematiche relative ai rapporti con le Pubbliche Amministrazioni come la fiducia, la trasparenza e la sicurezza. Rispetto ai comuni database gestiti “monomacchina”, la blockchain è caratterizzata da un alto livello di fiducia, vista la presenza di molteplici sistemi di controllo in real time che approvano gli smart contracts. In sostanza, essendo ogni operazione tracciabile, la blockchain migliora la trasparenza, poiché rispetto ad un registro server based, le modifiche devono essere approvate dalla maggioranza dei nodi del network, e tutti i nodi hanno traccia di qualsiasi scambio o movimento effettuato. Inoltre, un’operazione sul registro, scritta nel blocco, non può essere cancellata, e ciò rende più semplice e sicura anche la funzione di revisione delle operazioni per la potenziale riduzione di frodi, concetto molto importante per le applicazioni di blockchain nella tassazione. Questa crittografia può dunque rappresentare un passo importante per la digitalizzazione del settore pubblico, sia nel caso in cui si tratti di archiviazione dei dati sia in quello in cui occorre certificare operazioni in assoluta trasparenza. Comprendendo bene la portata rivoluzionaria di questa tecnologia, che possiamo definire sociale per la sua visione antropocentrica, si intende agevolmente quanto essa sia in grado di far evolvere, migliorare e progredire la qualità dei servizi nella Pubblica Amministrazione. Nel “white paper” dello scorso 19 febbraio 2020, la Commissione Europea ha annunciato per il primo trimestre del 2020 un piano di investimenti di 100 milioni di euro per finanziare le imprese che si inseriscono nei settori della blockchain e dell’intelligenza artificiale.

Questi fondi integrano quelli che sono stati già stanziati negli ultimi sette anni tramite il fondo europeo Horizon 2020, ossia 340 milioni per finanziare progetti atti a migliorare l’efficienza del settore pubblico tramite le applicazioni di blockchain. I settori nei quali la Commissione ha indirizzato gli investimenti in blockchain sono i più vari, come la gestione dell’identità personale dei cittadini, i problemi legati alla tassazione internazionale, il voto digitale, la gestione del sistema pensionistico e i certificati universitari. Tra le cose da migliorare ancora, c’è l’annosa questione del suo impatto ambientale, visto l’enorme utilizzo di corrente elettrica per l’elaborazione dei dati, ma già dal luglio 2021 dovrebbero essere previsti nuovi algoritmi, non minabili, in grado di ridurre il peso sull’ambiente virando nella direzione della sostenibilità. Un’ipotesi lontana ma non lontanissima, un tassello mancante ma meritevole di ampie riflessioni.

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