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Irpef, addizionali comunali e Imu: i nodi della riforma fiscale passano al nuovo governo

di Mauro Cafaro

La Camera dei Deputati il 22 Giugno 2022 ha approvato in prima lettura il Disegno di Legge Delega al Governo per la riforma fiscale, approntato sin dallo scorso mese di ottobre. Ora il testo è all’esame del Senato, assegnato alla sesta Commissione permanente (Finanze e Tesoro). Purtroppo però, a causa della recente crisi di governo e del conseguente scioglimento anticipato delle Camere disposto dal Presidente della Repubblica in data 21 Luglio 2022 e contestuale convocazione delle elezioni politiche in programma il 25 Settembre 2022, il cammino del testo del DDL si è sostanzialmente interrotto e di riforma fiscale verosimilmente se ne riparlerà nel corso della prossima legislatura.

Ove mai il testo venisse approvato tra agosto e settembre, il Governo sarebbe delegato ad adottare, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della delega, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale, per cui al di là dell’effetto domino connesso e dipendente dall’attuale crisi politica, è comunque interessante esaminarne la filosofia di fondo.

I principi guida sono quattro:

  • aumento dell’efficienza del sistema e riduzione del carico fiscale sul lavoro, condizioni favorevoli alla crescita economica;
  • mantenimento del carattere progressivo del sistema tributario nel suo complesso, peraltro contemplato già nella nostra carta costituzionale;
  • semplificazione degli adempimenti ed eliminazione dei micro-tributi caratterizzati da un gettito irrisorio rispetto agli elevati costi di adempimento;
  • riduzione dell’evasione e dell’elusione.

Tra i numerosi principi e criteri direttivi, emerge quello di razionalizzare e semplificare il sistema tributario anche con riferimento agli adempimenti, dichiarativi e di versamento, a carico dei contribuenti per ridurre i costi di adempimento, di gestione e di amministrazione del sistema fiscale, attraverso il rispetto, da parte dell’amministrazione finanziaria, del divieto di richiedere al contribuente documenti già in possesso delle PA, ed estendendo la possibilità di ottemperare agli adempimenti tributari in via telematica; all’impiego dei dati resi disponibili dalla fatturazione elettronica e dalla trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché alla piena realizzazione dell’interoperabilità delle banche dati, ferma restando la salvaguardia della privacy.

Inoltre, per favorire l’emersione degli imponibili, dovrà essere prevista, per i due periodi di imposta successivi al passaggio dal regime forfettario al regime ordinario, un’imposta opzionale e sostitutiva delle imposte sui redditi per i contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni che, nell’anno precedente, hanno conseguito ricavi o hanno percepito compensi non superiori a una soglia da determinare con i decreti legislativi, e con l’individuazione di meccanismi applicativi idonei a evitare comportamenti elusivi.

Il testo contempla anche la revisione dell’IRPEF, che sarà orientata a garantire il rispetto del principio di progressività e a ridurre gradualmente le aliquote medie effettive derivanti dall’applicazione dell’imposta anche per incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riferimento ai giovani e ai secondi percettori di reddito, nonché l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili, nonché a ridurre gradualmente le variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive derivanti dall’applicazione dell’Irpef.

Al contempo è previsto il riordino delle deduzioni dalla base imponibile e delle detrazioni dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche, tenendo conto della loro finalità e dei loro effetti sull’equità e sull’efficienza dell’imposta e destinando le risorse derivanti dalla loro eventuale eliminazione o rimodulazione, ai contribuenti soggetti all’Irpef, con particolare riferimento a quelli con redditi medio-bassi.

In particolare, soffermiamo la nostra attenzione sul contenuto dell’articolo 7, che fissa principi e criteri direttivi in ordine all’introduzione nel nostro ordinamento delle cosiddette sovraimposte regionali e comunali all’Irpef, che sono delle aliquote determinate localmente da applicarsi al gettito del tributo erariale. Al contempo si prevede l’abolizione dell’attuale sistema di addizionali, che funzionano secondo uno schema di aliquote locali applicate alla base imponibile determinata a livello centrale.

Diversamente dalla situazione attuale, una volta introdotta la sovraimposta, non sarà consentito introdurre soglie di esenzione a favore di determinate tipologie di contribuenti oppure inserire aliquote differenziate. Viene, altresì, statuito che sull’aliquota di base della sovraimposta le regioni e i comuni possano intervenire entro intervalli predeterminati.

In ogni caso il nuovo sistema impositivo, così prospettato, intende preservare caratteri di equilibrio assicurando a ciascun ente sia lo stesso gettito riscosso attualmente, sia adeguati margini di intervento a livello locale.

Esaminando più da vicino il testo dell’art. 7 uscito dalla Camera dei Deputati, si nota subito che la lettera a) del comma 1 fissa quale principio e criterio direttivo la sostituzione dell’addizionale regionale all’Irpef con una sovraimposta sull’Irpef, la cui aliquota di base possa essere manovrata dalle regioni entro limiti prefissati.

Nel corso dell’esame alla Camera è stato precisato che i limiti alla manovrabilità delle aliquote delle sovrimposte devono essere determinati in modo da garantire alle regioni nel loro complesso lo stesso incremento di gettito ora garantito dall’applicazione del livello massimo dell’addizionale Irpef.

In aggiunta a tale previsione, il disegno di legge delega chiarisce che la sostituzione deve garantire che, con l’applicazione della nuova aliquota di base della sovraimposta, le regioni nel loro complesso ottengano lo stesso gettito che avrebbero acquisito applicando l’aliquota di base dell’addizionale regionale all’Irpef stabilita dalla legge statale.

Attualmente l’aliquota di base dell’addizionale regionale Irpef è pari all’1,23 per cento (articolo 6, comma 1, D.Lgs. n. 68 del 2011).

La successiva lettera b) chiarisce, per le regioni sottoposte a piani di rientro per disavanzi sanitari, così come quelle che presentano squilibri di bilancio sanitario, le quali, in base alla legislazione vigente, comportano l’applicazione, anche automatica, di aliquote dell’addizionale all’Irpef maggiori di quelle minime, che la riforma preveda un incremento obbligatorio della sovraimposta, calcolato in modo da garantire lo stesso gettito attualmente ricavato dall’applicazione delle aliquote delle addizionali regionali all’Irpef maggiorate nella misura obbligatoria.

La lettera c) simmetricamente prevede, per i comuni che hanno la facoltà di applicare un’addizionale all’Irpef, la sostituzione dell’addizionale con la possibilità di applicare una sovraimposta sull’Irpef, i cui limiti di manovrabilità devono essere determinati in modo da garantire ai comuni nel loro complesso lo stesso incremento di gettito attualmente garantito dall’applicazione del livello massimo dell’addizionale Irpef (come chiarito in sede di esame alla Camera).

Nella formulazione originaria della norma si prevedeva che tali limiti alla manovrabilità garantissero un gettito corrispondente a quello attualmente generato dall’applicazione dell’aliquota media dell’addizionale all’Irpef.

Nel corso dell’esame alla Camera è stata introdotta la lettera c-bis) al comma 1. Essa dispone che una quota del gettito proveniente dall’applicazione delle imposte sostitutive applicate ai cd. contribuenti forfettari, ivi comprese quelle applicabili nel regime transitorio (di passaggio da forfettario a ordinario) sia destinata ai comuni e alle regioni, sulla base della residenza dei contribuenti garantendo la neutralità finanziaria tra i vari livelli di governo interessati.

Nel corso dell’esame parlamentare l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) ha rilevato che il passaggio da prelievi aggiuntivi commisurati non più alla base imponibile dell’imposta erariale, ma direttamente al debito di imposta erariale, evita il sovrapporsi di differenti strutture di progressività, lasciando al livello centrale l’esclusività nella determinazione del sistema di aliquote e scaglioni del prelievo personale sui redditi, da applicarsi sull’intero territorio nazionale, e quindi di stabilire la progressività dell’imposta. Tuttavia, ha osservato che l’introduzione di una sovraimposta implicherebbe, per gli Enti decentrati, una minore libertà decisionale: il prelievo locale è infatti in questo caso condizionato dalle scelte centrali in termini non solo di base imponibile, come avviene per l’addizionale, ma anche di struttura degli scaglioni, delle aliquote e del sistema di detrazioni. Dall’altro lato, si sottolinea come la sovraimposta è comunque coerente con l’esigenza di lasciare agli enti decentrati un qualche spazio di manovra nella determinazione del tributo e in questo senso è preferibile rispetto alla compartecipazione al gettito.

Peraltro, sembra che il nuovo sistema eserciterà comunque importanti riflessi in ordine agli effettivi spazi di autonomia fiscale riservati agli enti locali e territoriali, atteso che la sovraimposta, così come prospettata, a invarianza di gettito complessivo, dovrebbe risultare proporzionalmente più alta rispetto alle attuali addizionali nei comuni più ricchi, rispetto a quelli con livelli di reddito medio meno consistenti. Per cui, volendo conseguire lo stesso gettito per singolo ente, le aliquote dei comuni ricchi risulterebbero più basse dei secondi, con effetti sugli spazi di manovra autonomi, come pure sulla distribuzione del carico tributario a livello territoriale.

I poteri discrezionali in materia di addizionale all’Irpef sono stati ampiamente utilizzati dai Comuni, soprattutto per sopperire ai tagli dei trasferimenti erariali. Ciò si è verificato un po’ in tutta Italia, sia nelle grandi città del Nord e del Sud sia negli enti di ridotte dimensioni. Infatti, è stato calcolato che l’aliquota media dell’addizionale risulta commisurata allo 0,65%. Non a caso, secondo il Dipartimento delle Finanze del MEF, consistono in oltre 2.000 i comuni che hanno applicato una aliquota vicina al massimo, almeno secondo quanto rilevato dalle dichiarazioni Irpef 2020, riferibili all’anno di imposta 2019.

Se i comuni più ricchi potranno, in futuro, essere avvantaggiati da aliquote proporzionalmente inferiori, quelli più poveri, per riuscire a recuperare il gettito precedente, dovranno utilizzare presumibilmente aliquote vicine ai limiti massimi.

In definitiva, dunque, nell’applicare la riforma, sarà da un lato necessario tener conto della maggiore disparità di gettito, sulla base della diversa ricchezza dei territori e, dall’altro, del rischio di maggiore pressione fiscale per i margini di azione sulle aliquote.

In altri termini il passaggio dalle addizionali alla sovraimposta Irpef non sembra, secondo un’analisi di prima approssimazione, affatto neutra, atteso che sarebbero tenuti al relativo versamento anche quei contribuenti che oggi appartengono ad una fascia di esenzione dall’addizionale (soprattutto nei comuni che oggi le prevedono), ma hanno comunque l’obbligo di pagare l’Irpef.

In sintesi, attualmente sono poco più di 35 milioni i contribuenti che pagano le addizionali, a fronte di una platea di oltre 41 milioni di contribuenti, atteso che risulta applicabile sul medesimo reddito complessivo ai fini Irpef, ma vi devono ottemperare solo coloro che hanno l’obbligo di pagare il tributo erariale.

Si aggiunga, poi, che degli 8.000 comuni italiani, poco più di 1.100 non hanno istituito l’addizionale e poco meno di 3.000 prevedono fasce di esenzione per i redditi più bassi.

Al contrario la nuova sovraimposta verrà commisurata all’ammontare dell’Irpef netta dovuta dal contribuente, investendo così una platea di oltre 5 milioni in più di contribuenti rispetti a quelli che oggi pagano le addizionali.

Ad esempio, secondo le analisi del Sole 24 ORE, a Torino l’addizionale media è 258 euro ed è pagata dall’85% dei contribuenti tenuti a versare l’Irpef, grazie alla fascia d’esenzione pari a € 11.790,00, così come deliberato nel 2021. A Milano, invece, la media è pari a 462 euro e la percentuale si ferma al 59% (esenzione fino a  € 23.000,00).

Come è facile immaginare, l’applicazione del nuovo istituto tributario della sovraimposta eserciterebbe riflessi diversi sui contribuenti, da approfondire caso per caso nei circa 1.200 Comuni che prevedono un’aliquota dell’addizionale calibrata su scaglioni di reddito (e che in 831 casi hanno anche una fascia d’esenzione).

In ogni caso, secondo le analisi dell’UPB, la riforma dovrebbe determinare un incremento, seppur di lieve portata, della progressività complessiva dell’imposta.

Infatti, sempre secondo il giornale di Confindustria, se tutti i Comuni applicassero l’addizionale allo 0,8% (e Roma Capitale allo 0,9%), senza esenzioni, il gettito salirebbe a 6,1 miliardi e l’aliquota teorica della sovraimposta risulterebbe pari al 3,85%. In tal caso le grandi città non avrebbero problemi a raggiungere lo stesso livello di entrate. E, anzi, avrebbero ancora spazi di aumento. A Roma, ad esempio, si arriverebbe allo stesso risultato con una sovraimposta del 3,46% (278 euro di media) addossata a tutti i contribuenti che versano l’Irpef, compresi i 238.000 che oggi non pagano l’addizionale.

Scelte ben più complicate, invece, investirebbero quei centri medio-piccoli, spesso a vocazione turistica, con un gettito IMU molto ricco sulle seconde case e redditi medi elevati, nei quali l’addizionale ha fasce d’esenzione molto alte ed è di fatto versata da pochi residenti.

Ovviamente tutti gli aspetti e i profili tecnici e di dettaglio si potranno conoscere all’esito dell’emanazione dei decreti legislativi di attuazione della delega, sempreché questa venga inserita nell’agenda di lavoro del nuovo Parlamento e del prossimo Governo.

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