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La riscoperta dei cammini religiosi tra ricerca del sacro e contemporaneo

di Serafina Russo

Prof. Franco Cardini – Emerito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa

È in voga una tendenza che è anche un ritorno al passato. La gente è tornata a mettersi in cammino. Sono stati riscoperti i percorsi della spiritualità, quelli che tanti anni fa caratterizzavano i pellegrini. I riflessi positivi sono molteplici: a partire sia dal rilancio per il turismo attraverso la valorizzazione dei territori, sia al benessere psico-fisico dettato anche dalla condivisione e socializzazione che ne deriva. Abbiamo chiesto ad uno storico di fama internazionale, Franco Cardini, professore emerito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché esperto di storia medievale, di indagarne le motivazioni e, più in generale, di spiegarci in che modo il bisogno di fede si manifesta nel nostro tempo.

Qual è la genesi del pellegrinaggio e perché l’uomo ha iniziato a manifestare la devozione con il cammino, e che riflessioni in chiave moderne si possono fare intorno al concetto di sacro?

«Una genesi definitiva del pellegrinaggio per tutte le culture del mondo non si può fare. Per quanto sappiamo dalle tracce sia storiche sia preistoriche, la tendenza a muoversi per compiere un pellegrinaggio, e quindi raggiungere un luogo che sia qualificatamente segnato in senso religioso, è una tendenza comune. Lo storico si deve fermare qua, l’antropologo o il teologo possono aggiungere che è una tendenza naturale nella specie umana, o che ha origini addirittura prerazionali e quindi non confrontabili con il nostro tipo di sapere. Per quanto ne sappiamo, il pellegrinaggio è una tendenza universale delle comunità storiche o preistoriche, che si può ragionevolmente definire naturale, cioè corrispondente ad una sorta di istinto innato che prende forme storiche e, a prescindere se note o meno, rispondono ad una generale esigenza di mettersi in contatto con quell’oggetto immateriale e spirituale che l’antropologia religiosa definisce come sacro. Il concetto di sacro è difficilmente definibile. Accettiamo la definizione più originale ed intensa data da uno studioso del sacro come Rudolf Otto: “Il sacro è quello che è assolutamente altro rispetto all’uomo”. D’altra parte, questa definizione, antropologicamente molto interessante, cozza con definizioni di tipo teologico che, al contrario, sostengono che nella religione cristiana il sacro non è assolutamente altro rispetto all’essere umano, perché nel divino, così come concepito dal cristianesimo, c’è anche un elemento umano dato dall’incarnazione. Come tutte le discussioni scientifiche, essendo la scienza per sua natura una realtà dinamica, non c’è una conclusione definitiva sul concetto di sacro, definizione che quindi rimane aperta».

Quali sono i cammini religiosi più importanti in Italia? E al Sud dove la devozione popolare è più viva?

«In Italia conosciamo cammini anche molto antichi, che appartengono a realtà precristiane. Conosciamo pellegrinaggi in ambito etrusco, celtico, greco che hanno il comune denominatore di appartenere alle religioni che in teologia si definiscono naturali, mentre in antropologia si chiamano religioni a carattere mitico-immanentistico. Rientrano in questo ambito le religioni naturali, ossia le religioni che non sono rivelate. La religione rivelata è qualcosa che ha un punto preciso di inizio che coincide con un evento sovrannaturale: l’incontro di Dio con Abramo, l’incarnazione del Cristo, la rivelazione del Corano al profeta Maometto. Dopo il cristianesimo il pellegrinaggio muta di aspetto. Non si tratta più di pellegrinare verso un luogo che è una sorgente di sacralità, come può essere una foresta, una montagna, un lago ossia un luogo dove in qualche modo si ritiene che la divinità si è manifestata attraverso un fenomeno particolare della natura. Ad esempio, le acque che sanano perché sono medicinali contro certe malattie. Nel mondo delle religioni rivelate, cristianesimo, islam ed ebraismo, si fa il pellegrinaggio in luoghi che, a prescindere dalla loro morfologia, sono i luoghi dove la divinità si è manifestata, come il Sinai per gli ebrei, Gerusalemme per gli ebrei e per i cristiani e La Mecca per i musulmani. In Italia, come in tutto il mondo cristiano, non si va in pellegrinaggio soltanto per cercare le tracce della realtà divina, quindi a Roma, ma si va in pellegrinaggio anche per cercare le tracce del passaggio di eventi o di personaggi che hanno dimostrato un rapporto speciale con la divinità. Il luogo dove il santo è sepolto o il luogo dove il santo ha compiuto dei miracoli diventa una sede del pellegrinaggio. Basti pensare alla tomba di San Francesco d’Assisi oppure a Montecassino, la sede di San Benedetto, fino a quei luoghi dove si è verificata un’apparizione mariana. Le apparizioni della Madonna sono molte e specifiche di certi luoghi come le coste marittime o le montagne. Nei luoghi legati all’immagine mariana avviene un pellegrinaggio che segue una serie di riti eseguiti attorno al luogo consacrato da un’apparizione. Tutti conoscono l’evento della grotta di Louders, ci sono eventi simili in molti luoghi dell’Italia meridionale. Nella religione cristiana le apparizioni mariane sono eventi molti frequenti, verificabili alla luce delle testimonianze che hanno lasciato. In alcuni casi le testimonianze sono materiali come un altare, una grotta, un pozzo e in altri casi sono affidate alla testimonianza di esseri umani, magari messa per iscritto, a cui si presta fede. La fede ovviamente è un elemento necessario, si pensi per esempio una sorgente di acqua minerale che risolve certe malattie, le qualità terapeutiche sono verificabili con un esame medico, ma se alla base delle qualità terapeutiche ci sia un miracolo, a ciò ci si crede alla luce della fede e la ragione non serve».

Nell’attuale momento storico in cui si sta attraversando la forth revolution, la riscoperta dei cammini religiosi rappresenta un ritorno ad un “mondo antico”. Secondo lei questa tendenza sottende più un bisogno di spiritualità o di identità?

«Bisognerebbe definire bene i termini di ‘identità’ e ‘spiritualità’. Sono termini molto usati, si può dire anche abusati, ma sono termini che non mettono tutti d’accordo sul piano della sostanza. Ciò detto, bisogna aggiungere che certamente c’è il richiamo ad eventi che in passato venivano conosciuti e fatti oggetto di una fede diffusa senza essere oggetto di dubbio, o quantomeno di dubbio diffuso. Mentre oggi noi siamo una società che ha attraversato un lungo periodo di laicizzazione che adesso presenta traccia di un ritorno verso una dimensione religiosa. Dire che ciò rappresenta un tornare all’indietro nella nostra società non mi trova d’accordo, non si può definire regressivo. È semplicemente una sensibilità nuova che ha anche dei caratteri che si sono presentati in passato. Per me ciò non rappresenta una regressione nel senso negativo del termine. Vuol dire che certe ‘possibilità spirituali’ che in passato si sono credute superate in realtà non lo erano affatto, erano rimaste sedimentate, anche ad un livello collettivo, e adesso sono riemerse. Nella storia c’è un processo continuo di mutamento e di movimento, ma la storia non è un orologio che va avanti o indietro. Le lancette della storia non le ha nessuno».

Posto che in epoca moderna e laica la scelta di intraprendere un cammino spirituale può basarsi anche su ragioni culturali, storiche o addirittura sportive, è ipotizzabile un viaggio che sia realmente svincolato dalla fede?

«Sì, la fede è un fatto di grazia per un cristiano. È la coscienza, non determinata da prove storiche, ma determinata da una convinzione intima: l’incontro tra l’essere umano e Dio nella forma dell’incarnazione del Cristo. Questa è la fede tipica del mondo cristiano, non esportabile. Gli ebrei e i musulmani possono essere molto più religiosi dei cristiani, ma la fede non è la religiosità. La fede sta nel fatto che Dio si sia manifestato e incarnato nella storia. Ha un rapporto specifico con l’incarnazione. Questo non c’è nell’ebraismo o nell’islam, dove c’è l’osservanza della legge, sia essa affidata all’origine divina, o ad un libro sacro come la Bibbia per l’Islam e il Corano per i musulmani. Invece, la fede è caratteristica singolare del cristiano. Se si parla di religione cristiana che ha elementi simili alla religione islamica si parla correttamente, se si parla di fede cristiana che è simile alla fede ebraica e alla fede musulmana, si sbaglia. La fede nell’islam e nell’ebraismo non c’è. C’è l’osservanza della legge che è rappresentata da un libro che è anche giuridico al quale si deve ubbidire. Sono due concetti diversi: la fede è un rapporto extra-umano, superiore a ciò che è umano o naturale, mentre l’osservanza di una legge ritenuta divina afferisce ad una realtà umana, non c’è bisogno di un intervento divino se non quello che sta all’origine della rivelazione del libro, ma una volta che si crede che il libro è rivelato non è la fede, ma il fondamento della legge, che è un’altra cosa».

“Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza. Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza. Tutto ciò però sarà possibile se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale…” Queste parole sono contenute nella Lettera che il Santo Papa Francesco ha indirizzato a Mons. Rino Fisichella. Il Papa fa anche riferimento alla necessità di superare il dolore, la paura e lo smarrimento che la pandemia ha provocato nei nostri animi, ritrovando ritmi di relazioni personali e di vita sociale. A tal proposito, si rivolge ai fedeli, chiamandoli “pellegrini”. Perché?

«Il pellegrino è uno che si muove verso una realtà che viene definita superiore, un punto di arrivo. L’arrivo verso un perfetto recupero della speranza religiosa, cioè una delle virtù cardinali. Si è cristiani se si hanno tre virtù fondamentali: la fede di cui abbiamo parlato, ossia la fede nel patto con Cristo; la carità che è l’amore di tutti gli esseri umani in Dio e nel nome di Dio; la speranza, che è l’apertura verso un futuro in cui, nella storia, si verificherà l’incontro perfetto di Dio con tutti gli esseri umani, senza distinzione di razza e nemmeno di religione, perché è una forzatura pensare che quest’incontro si verificherà attraverso una cristianizzazione generale di tutto il mondo. Si verificherà un’unione degli esseri umani in Dio, ma non sappiamo come ciò avverrà. Questa è la speranza. Attualmente viviamo anni difficili, abbiamo avuto una pandemia, non sappiamo se è finita. In tutto il mondo c’è una crisi economica e sociale generale, assistiamo ad un grande processo di pauperizzazione e di concentrazione della ricchezza e di conseguenza anche di diffusione dell’ingiustizia sociale, e ciò naturalmente genera tensioni sociali e violenze. C’è una guerra in corso, che potrebbe espandersi, fino a diventare addirittura una guerra mondiale. In questo scenario, avere la speranza è più difficile, e per i cristiani diventa necessaria la preghiera».

La religione è ancora causa di guerre e conflitti ideologici? Ad esempio, tra Mosca e Kiev, anche la questione dell’indipendenza religiosa dell’Ucraina sembra proseguire in parallelo con la guerra. Che peso ha la religione in questa guerra?

«Le religioni non sono mai cause di conflitti, l’uso che si può fare della religione – in generale in mala fede – può essere causa di conflitti. Questo è un problema che riguarda gli uomini politici, la loro chiarezza mentale e la loro onestà, non la religione. Le religioni non hanno colpe dei conflitti, al massimo è l’interpretazione scorretta di certi elementi della religione che porta a conflitti. Nel caso dell’Ucraina è molto semplice. L’attuale classe dirigente dell’Ucraina vuole far di tutto per allontanarsi dalla realtà russa, nonostante il legame – anche molto forte – che storicamente ed anche religiosamente c’è. Uno degli elementi del quale è proprio l’ortodossia. La classe dirigente ha provocato una scissione all’interno del mondo ortodosso, obbligando gli ucraini ad allontanarsi dall’ortodossia. Questo per un motivo politico, la religione ortodossa non ha nessuna colpa di questo. La colpa è attribuibile alle gerarchie ortodosse ucraine che si sono piegate ad un gioco politico».

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