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Design Thinking, le possibili applicazioni di questo approccio alla Transizione Digitale degli enti locali

di Gaetano Di Palo

Gli esseri umani sviluppano naturalmente, e di continuo aggiornano, schemi di pensiero modellati sulle proprie ed altrui attività ricorrenti e ripetitive e sulle esperienze acquisite. Tali schemi aiutano a decidere ed a rapidamente applicare stesse conoscenze, atteggiamenti ed azioni secondo vari livelli di replicazione e reiterazione in situazioni identiche, uguali, simili o per lo meno analoghe. Sotto il profilo del problem solving questi atteggiamenti, peraltro innati, hanno tuttavia anche il collaterale potenziale di impedire l’insorgenza e lo sviluppo, più o meno articolato, di nuovi e diversi modi di vedere, capire, misurare, affrontare e risolvere incognite, difficoltà ed incertezze.

Queste modalità per così dire automatizzate divengono spesso dei paradigmi implicitamente radicati connotati da una maggiore o minore rigidità, giacché costituiti da insiemi ben strutturati ed organizzati di informazioni e relazioni tra eventi, scenari ed azioni che si consolidano nel tempo anche perché sovente, più o meno inconsciamente, avvalorati dal successo (reale o percepito) di determinate soluzioni. Dunque, gli atteggiamenti che vengono sollecitati e avviati quando si presentano determinati scenari, circostanze o fenomeni, o più in generale ci si imbatte in stimoli ambientali, sono in una certa misura prefigurati e ricondotti, istintivamente, ad uno schema mentale residente che al suo interno può contenere una vasta quantità ed articolazione di informazioni prefigurate. Dal momento che questi schemi vengono stimolati in maniera relativamente rapida – e per lo più automaticamente – possono sovente ostacolare una visione più allargata e omnicomprensiva di una situazione o di uno scenario e quindi anche impedire di affrontare un problema in maniera tale da consentire di immaginare non una, ma più strategie alternative di risoluzione.

In tema di organizzazioni di grandi dimensioni, e quelle più complesse – e soprattutto in quelle che lavorano per progetti – le discipline organizzative hanno sviluppato varie metodologie e tecniche[1] tese ad evitare l’indirizzo automatico nella scelta verso delle soluzioni più istintivamente segnalate ed evidenti e prevenirne i successivi automatismi decisionali. In linea di massima alcuni approcci di problem solving, a dire il vero neanche tanto eterodossi[2], considerano il problema originale come una mera ipotesi di potenziale allerta, una sorta di elemento divergente dall’assetto abitualmente strutturato e percepito come normalità e non già come un’affermazione d’allarme definitiva, ampliando in tal modo lo spettro dell’indagine alle ragioni più profonde ed intrinseche[3] che hanno favorito la configurazione di un certo e mutato status: quella nuova condizione che viene sinteticamente – ed ancora una volta istintivamente – interpretata come problema.

L’analisi a questo punto acquista una prospettiva metodologica di valenza euristica[4], laddove l’aspetto preponderante della disamina del processo cognitivo e decisionale è iterativo ed espansivo, abilitando la rinuncia alla soluzione spontanea ed immediata ed invece favorendo una attenta fase di individuazione, determinazione e profilazione della radice del vero problema (se tale risulterà poi essere alla fine del suo assessment), all’affrontare il quale finalmente potrà opporsi una più ampia gamma di potenziali soluzioni da prendere in considerazione. Ebbene questo è uno sviluppo metodologico proprio del “Design Thinking” che tende ad ottenere il massimo rendimento dal sistema integrato di più articolate capacità di comprensione e di analisi cognitiva di quanto sovente venga praticato coi toni e registri di problem solving più convenzionali.

Il Design Thinking si basa sulla capacità di riconoscere schemi e correlazioni, sulla ricostruzione di idee e connessioni che abbiano una radice ed un significato emotivo oltre che funzionale e di esprimere soluzioni individuate con mezzi diversi da quelli tradizionali. Naturalmente nessuna attività di gestione aziendale può essere basata esclusivamente su sensazione ed intuizione (queste restano relegate per lo più alla sfera delle azioni dettate dallo spirito imprenditoriale), tuttavia un’eccessiva dipendenza dal preordinamento razionale e dall’approccio risolutivo analitico può essere altrettanto riduttivo, soprattutto quando si tratta di gestire attività non routinarie, nuovi e complessi progetti, alleanze e rapporti – per non dire ovviamente delle emergenze.

La filosofia al centro del processo di Design Thinking in un certo senso suggerisce un approccio intermedio ed integrato. Alcune delle attività ad esso più legate operativamente comprendono l’analisi delle interazioni e lo studio delle condizioni in cui si opera[5], la ricerca approfondita delle esigenze dei soggetti che a vario titolo sono coinvolti e la condivisione allargata delle ideazioni e delle esperienze derivanti dalle prototipazioni. Tali analisi, condivisioni e test vanno poi considerate in un time framework laddove possono essere ricondotte e rappresentate le condizioni eco-sistemiche presenti e soprattutto quelle future al fine di verificare i parametri e le metriche del problema e individuare/sperimentare l’applicazione pratica di soluzioni alternative.

L’approccio Design Thinking più accreditato[6] essenzialmente si sviluppa in 5 fasi apparentemente sequenziali, ma nella realtà operativa spesso circolari e/o addirittura à rebours:

  1. Empatizzare con i destinatari finali e gli utenti
  2. Definire le loro esigenze, problemi e sovrapporle alle visioni ed intuizioni aziendali
  3. Ideare mettendo in discussione le ipotesi e creando modelli per soluzioni innovative
  4. Prototipare per iniziare a creare soluzioni
  5. Testare le soluzioni sul campo

Modello Design Thinking – Stanford d.School

Modello Design Thinking - Stanford d.School
Fonte – Hasso Plattner Institute of Design at Stanford University

Queste fasi del processo creativo stigmatizzano il lavoro di chi progetta e realizza, contribuiscono a estrarre, insegnare ed applicare sistematicamente tecniche centrate sull’uomo per risolvere i problemi in maniera innovativa e creativa. La loro non sequenzialità si realizza in sub-relazioni interne tra fasi anche non contigue: empatizzando con l’utenza si migliora ed approfondisce la comprensione del problema; la prototipizzazione aggiunge ed arricchisce le idee originarie e consente di mettere in discussione le prime assunzioni; la conduzione di test aumenta la capacità di immedesimazione e migliora la profilazione degli utenti e ridefinisce perimetro e profondità delle caratteristiche del problema.

Schemi analoghi sono stati sviluppati da autorevoli studiosi ed atenei[7] e le loro indagini e test condotte adottando il Design Thinking arricchiscono le analisi includendo processi aziendali interdisciplinari[8], ed aspetti trasversali ed ambigui del problema nel tentativo di rivelare variabili e termini di raffronto precedentemente sconosciuti, trascurati ovvero anche semplicemente sottostimati, al fine di scoprire strategie alternative prima facie non ipotizzabili. Dopo aver così individuato una serie di potenziali soluzioni al problema percorribili, il processo di selezione di quale linea d’azione finalmente adottare si baserà sulla comparazione e contrapposizione razionale e misurata delle risultanze.

Modello Design Thinking – Darden School of Business

Fonte – Darden School of Business – University of Virginia

L’estensione al settore pubblico[9] di logiche e dialettiche di derivazione industriale tipiche del Design Thinking[10], il cui fulcro consiste nel dialogo e nella partecipazione, dovrebbe essere incoraggiato ed interpretarsi come una diretta e ragionevole conseguenza della filosofia della creazione di valore pubblico. La tensione di chi governa e di chi amministra a comprendere l’essere cittadino nella complessa rete di posizioni e situazioni, e la capacità di leggere i concreti bisogni cui si annettono distinti e profonde percezioni e stati d’animo, oltre ad essere un approccio lodevole sotto il profilo morale e politico, tecnicamente dispiega dinamiche di analisi ed interpretazione pre-progettuale del Design Thinking inclusive dei destinatari nel processo di progettazione e nelle scelte tecnologiche di autoapprendimento e miglioramento.

Il Design Thinking mira ad originare un approccio condiviso e di immedesimazione, basato su connessioni empatiche agli scenari ed alle percezioni che i destinatari di beni e servizi vivono ed affrontano[11]. La sfera emotiva, per sua natura sfuggente ed eterogenea, viene sottoposta a processi di analisi[12] laddove i bisogni, le motivazioni ed i meccanismi che sostengono e guidano scelte e condotte specifiche dispiegano maggiormente i loro effetti: nel comportamento. La caratteristica principale del Design Thinking richiederebbe all’ente pubblico, dunque, di spostare il baricentro dell’interesse e dell’indagine sul contesto di riferimento, sull’impatto emotivo e sull’interazione con il destinatario finale del servizio (specie quello di natura sociale, assistenziale e sanitario[13]) individuando percorsi risolutivi disegnati, per l’appunto, su quest’ultimo.

La transizione digitale, onda ormai in piena fase di propagazione ed alla quale anche gli enti locali sono chiamati ad adeguarsi, è di certo un’ottima occasione di sperimentazione dell’approccio Design Thinking – sebbene con le dovute cautele nella sua contestualizzazione e declinazione[14] – teso a condividere coi cittadini scelte e policy di digitalizzazione che consentano ai destinatari finali di contribuire alla co-progettazione ed all’implementazione di nuove tecnologie digitali easy to use da intendersi e da vivere come opportunità abilitanti e funzionalità agevolative – addirittura vantaggiose – nel disbrigo di procedure ed avanzamento di fascicoli e pratiche personali, familiari o aziendali. Certo andrebbero prima superate le barriere culturali, le ritrosie all’innovazione ed il probabile scetticismo o indifferenza di alcuni policy maker[15]; tuttavia ai chiari ed evidenti effetti di alleggerimento amministrativo per le sempre più sottodimensionate strutture organizzative degli enti locali, si accompagnerebbero stimoli di carattere civico finalizzati ad un miglioramento – o forse verrebbe da dire alla ricostruzione – di un rapporto con la pubblica amministrazione ormai da tempo deteriorato a causa della diffusa sfiducia alimentata anche dalle perennemente lamentate inefficienze di quest’ultima.

[1] Cfr. Robert G. Lord, Cynthia Emrich, Thinking outside the box by looking inside the box: Extending the cognitive revolution in leadership research., in The Leadership Quarterly, December, 2000; e cfr. Adam Damadzic, Christopher Winchester, Kelsey E. Medeiros, Jennifer A. Griffith, Re]thinking outside the box: A meta-analysis of constraints and creative performance, in Journal of Organizational Behavior, Volume 43, 8 Oct 2022, Pages 1287-146 ed ancora cfr. Alan J Card, The problem with ‘5 whys’, BMJ Journal Quality & Safety, Volume 26, Issue 8, 2017 e cfr. Harrington, H. James; Voehl, Frank, The innovation tools handbook. Volume 2: evolutionary and improvement tools that every Innovator Must Know, CRC Press, Taylor Francis Group, 2016.

[2] “One common approach to try to prevent the recurrence of Adverse Events is to undertake a review of care, such as a root cause analysis (RCA), to find out what went wrong and why using a structured process of creating chronological maps that track the time and sequence of relevant events, undertaking interviews and analysis of other data sources, and developing cause and effect diagrams and recommendations” Peter D. Hibbert, Matthew J.W. Thomas et al., Are root cause analyses recommendations effective and sustainable? An observational study, in International Journal for Quality in Health Care, 2018, 30(2), 124–131.

[3] “There are three key elements to effective use of the Five Whys technique: (i) accurate and complete statements of problems, (ii) complete honesty in answering the questions, (iii) the determination to get to the bottom of problems and resolve them”. Serrat, O. The Five Whys Technique. in Knowledge Solutions. Springer, Singapore, 2017

[4] “Most important of all is that the process be iterative and expansive. Designers resist the temptation to jump immediately to a solution for the stated problem. Instead, they first spend time determining what basic, fundamental (root) issue needs to be addressed. They don’t try to search for a solution until they have determined the real problem, and even then, instead of solving that problem, they stop to consider a wide range of potential solutions”, Norman, Donald. A.. The design of everyday things, Basic Books, 2002.

[5] “With development in Information and Communication Technologies (ICT), ID has shifted from a focus on the organisation and sequencing of learning resources and material to a more holistic approach and acknowledgement of the learning environment and shifting emphasis to the learner. In other words, the scope of learning design has widened from a focus on the learning artifacts to the influence and potential of the learning context” Kashmira Dave, Jon Mason, Empowering Learning Designers through Design Thinking, Proceedings of the 28th International Conference on Computers in Education. Asia-Pacific Society for Computers in Education, December 2021.

[6] Stanford d.School, Hasso Plattner Institute of Design at Stanford University, CA, USA

[7] Ad esempio Design Thinking Initiative della Darden School of Business, presso Università della Virginia, costruita sulla base della ricerca fondamentale della Prof. Jeanne Liedtka mira ad arricchire e informare l’applicazione del pensiero progettuale alle imprese e alla società globali..L’iniziativa sostiene corsi, un club di studenti, la ricerca dei docenti e la diffusione attraverso la piattaforma Design@Darden

[8] “in interdisciplinary entrepreneurship a group consisting of professionals from different disciplines shares resources across disciplines integrates the thought of optimized entrepreneurship and cooperates to solve complex problems”, Rui Li, Zhenyu Cheryl Qian, Yingjie Victor Chen, Linghao Zhang, Design Thinking Driven Interdisciplinary Entrepreneurship. A Case Study of College Students Business Plan Competition, in The Design Journal. An International Journal for All Aspects of Design, 31 May 2019.

[9] “The central argument is that the policy designer’s capacity to play with new possibilities or scenarios and her emotional resilience plays a role in the high-level expertise needed to respond creatively to complex problems”. Mark Considine, Thinking Outside the Box Applying Design Theory to Public Policy, Politics & Policy, Volume 40, No. 4 (2012): 704-724.

[10] “Design Thinking has changed from the activity of designers to an all-round approach to the innovation process. DT is seen as a human‐centred and systematised approach to problem identification and problem solving. DT is a versatile approach to orchestrating conflicting ideas, identifying singular needs and common goals, making productive use of diverse backgrounds, enhancing empathy, and developing a shared vision”, Satu Grönman, Eila Lindfors, The Process Models of Design Thinking. PATT38 Rauma, Finland 2021 – Section III   Design and Technology in Education Techne Series A: 28(2), 2021 110–118

[11] “Understanding the problem and identifying the user’s needs, redefining the problem in a human-centric way, then proceeding to develop and test solutions based on the identified needs”, Hanadi Traifeh, Thomas Staubitz, Christoph Meinel Improving learner experience and participation in MOOCs: A design thinking approach, Research Paper, October 2019.

[12] “Design thinking falls short of tackling these problems because it only provides ways to empathize with customers, rendering them passive bystanders in the innovation process” Sebastian Loewe “Toward a Critical Design Thinking: Propositions to Rewrite the Design Thinking Process”, in Dialectic, Volume 2, Issue 2, Summer 2019

[13] “Top-down approaches to health that are expert-driven and focus on solving precisely defined physiological impairments and symptom profiles do not acknowledge that health is a constantly negotiated social construct such approaches may be inadequate for delivering solutions to problems that are inherently linked to humans in their unique and evolving environments” Donne van der Westhuizen, Nailah Conrad, Tania S. Douglas, Tinashe Mutsvangwa. Engaging Communities on Health Innovation: Experiences in Implementing Design Thinking in International Quarterly of Community Health Education, 2020, Vol. 41(1) 101–114

[14] “ideological and practical problems inherent within the methodology include design thinking’s proximity to neoliberal economic policy, and a concomitant emphasis on ‘social change’ through marketisation and responsibilisation; its injudicious borrowing of techniques associated with the social sciences; and concerns around positioning vulnerable communities as ‘opportunities’ for gaining creative or mercantile capital, under the mantle of effecting positive ‘social change”, Robyn Cook, Design Thinking, neoliberalism, and the trivialisation of social change in higher education,  in Standing Items: Critical pedagogies in South African art, design & architecture. Jacana Media, South Africa, pp. 12-26.

[15] “Good work by dedicated people gets caught in the cross fire of politics and media, the right intentions and their complex reality sidelined by a combination of circumstances that few in the business sector would ever deal with”. Liedtka Jeanne, Azer Daisy, Salzman Randy, Design Thinking for the Greater Good. Innovation in the Social Sector, Columbia University Press, 2017

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