di Filomena Buonocore
Un ambiente di lavoro tossico si configura come un contesto organizzativo in cui comportamenti distruttivi, abuso di potere, mancanza di rispetto e assenza di supporto reciproco non sono eccezioni, ma regole non dette che permeano profondamente la cultura aziendale. In tali realtà, le relazioni interpersonali sono spesso minate da dinamiche oppressive e pratiche gestionali disfunzionali, che compromettono il benessere psicologico, emotivo e professionale dei lavoratori. Non si tratta solo di episodi sporadici di conflitto o tensione, fisiologici in qualsiasi ambiente lavorativo, ma di un clima sistematicamente caratterizzato da paura, insicurezza e sfiducia. Secondo un’indagine condotta dal MIT Sloan Management Review nel 2022, la cultura tossica negli ambienti di lavoro è il primo fattore predittivo del turnover volontario, risultando più determinante persino della retribuzione. Parallelamente, i dati Gallup del 2023 mostrano che solo il 21% dei lavoratori si considera attivamente coinvolto nel proprio lavoro, evidenziando tra le principali cause di disingaggio la cattiva leadership, l’assenza di riconoscimento e un clima lavorativo ostile.
Le caratteristiche distintive di tali contesti includono una comunicazione aggressiva o manipolatoria, l’assenza di meritocrazia, il costante monitoraggio delle attività dei dipendenti e una leadership orientata più al controllo che al supporto. In questi ambienti, il successo non si misura tanto sulla base di competenze e impegno, quanto sulla capacità di navigare relazioni di potere e dinamiche politiche interne. Questo genera spesso un clima competitivo malsano, in cui l’apparenza e la sottomissione diventano strategie di sopravvivenza.
Dinamiche relazionali e organizzative: Effetti della tossicità sul benessere e sulla performance. I fattori che contribuiscono alla creazione e al mantenimento di ambienti tossici sono molteplici e spesso interconnessi. Uno degli elementi più insidiosi è l’eccessivo monitoraggio dei dipendenti. La sorveglianza costante, resa oggi ancora più pervasiva da strumenti tecnologici sofisticati, non solo comunica sfiducia, ma aumenta i livelli di stress e favorisce l’alienazione sociale. Questo approccio finisce per minare il senso di appartenenza e l’impegno verso l’organizzazione.
Ad aggravare la situazione interviene il micromanagement, che priva i lavoratori di autonomia e li infantilizza. I manager eccessivamente controllanti tendono a interpretare la supervisione non come supporto, ma come imposizione di regole e standard, talvolta anche umilianti. Questo stile gestionale alimenta la passività e frustra l’iniziativa personale, inducendo i collaboratori a un atteggiamento di mera esecuzione, spesso accompagnato da timore e risentimento. Ulteriore aspetto critico riguarda le valutazioni delle performance politicizzate. Quando il riconoscimento del merito è subordinato a logiche di favoritismo e a dinamiche relazionali piuttosto che a criteri oggettivi, si crea un ambiente in cui prevalgono ingiustizia e sfiducia. Tali pratiche possono trasformarsi in veri e propri strumenti di coercizione e vendetta, usati per premiare i “fedeli” e punire i dissenzienti. Un ruolo centrale nella perpetuazione della tossicità organizzativa è svolto dalla leadership. La letteratura distingue tra diverse forme di leadership negativa, ciascuna con specifiche manifestazioni. La leadership distruttiva si riferisce a comportamenti che, intenzionalmente o meno, danneggiano i collaboratori e l’organizzazione. Essa si declina in vari stili, tra cui quello tirannico, caratterizzato da arroganza e insensibilità; incompetente, legato a pigrizia e mancanza di guida; emotivamente instabile, e negligente, ovvero carente di intelligenza emotiva e attenzione agli altri. Ancora più insidiosa è la leadership tossica, che si distingue per l’intenzionalità negativa dei comportamenti. I leader tossici manifestano tratti come l’abuso di supervisione, il narcisismo, l’autopromozione e l’imprevedibilità emotiva. Questi comportamenti generano un clima di terrore e incertezza che erode progressivamente la fiducia e il morale dei lavoratori. Particolarmente pericolosa è anche la leadership identitaria tossica, che sfrutta la costruzione di un’identità di gruppo per giustificare pratiche escludenti e consolidare il potere del leader. Invece di promuovere l’inclusione, questa forma di guida alimenta il conformismo forzato e l’emarginazione di chi non si adegua, rafforzando ulteriormente le gerarchie e le disuguaglianze interne. Non va trascurato il ruolo della personalità dei follower nella dinamica della tossicità. Alcune caratteristiche dei dipendenti, come l’elevato livello di gradevolezza o la scarsa stabilità emotiva, possono moderare la percezione e la tolleranza dei comportamenti tossici. I collaboratori più accondiscendenti, ad esempio, tendono a giustificare o minimizzare tali atteggiamenti, finendo spesso per perpetuarli inconsapevolmente. Le conseguenze per le organizzazioni sono gravi, trasversali e ampiamente documentate dalla letteratura. La presenza di un clima lavorativo tossico si traduce in un aumento significativo del turnover, con un conseguente aggravio dei costi legati alla selezione, formazione e sostituzione del personale. Parallelamente, si osserva un calo dell’engagement, cioè del coinvolgimento attivo e motivato dei lavoratori nei confronti delle attività e degli obiettivi aziendali, con ripercussioni dirette sulla produttività, sulla qualità del lavoro e sull’innovazione. A ciò si aggiunge un incremento dell’assenteismo e della manifestazione di disturbi psicosomatici, quali ansia o insonnia, che riflettono un deterioramento della salute psicofisica legato all’esposizione prolungata a dinamiche relazionali malsane. Sul piano collettivo, la tossicità organizzativa altera profondamente la coesione interna, indebolisce la fiducia nei processi e nei vertici, e compromette il senso di appartenenza. Ne deriva un progressivo impoverimento del capitale umano, relazionale e reputazionale dell’organizzazione, che incide sulla sua capacità di crescere, trattenere talenti e affrontare il cambiamento. In ultima analisi, un ambiente tossico non solo danneggia il benessere dei singoli, ma mina alla radice la sostenibilità, la resilienza e la competitività dell’intera struttura produttiva.
Implicazioni gestionali negli ambienti di lavoro: Prevenzione, contrasto e trasformazione. Nonostante questo quadro complesso e problematico, esistono modelli alternativi. Le organizzazioni comunitarie offrono un paradigma opposto a quello tossico. In questi contesti, la cultura aziendale è improntata alla fiducia reciproca, all’equità e alla valorizzazione delle differenze. La leadership gioca un ruolo cruciale nel creare ambienti fondati su relazioni solidali, processi decisionali inclusivi e opportunità di crescita autentica. Qui il potere non è esercitato in modo oppressivo, ma condiviso per promuovere il bene comune. Tali organizzazioni riconoscono l’importanza di politiche che favoriscano feedback trasparente, collaborazione e meritocrazia. Al contrario delle pratiche tossiche, si adottano strategie che mirano a ridurre la competitività distruttiva e ad aumentare il senso di appartenenza e il coinvolgimento dei dipendenti. In conclusione, la prevenzione e il superamento della tossicità organizzativa non sono obiettivi irrealizzabili, ma richiedono interventi consapevoli e sistemici. Dalla selezione e formazione di leader etici e dotati di intelligenza emotiva, fino alla creazione di spazi sicuri per il dialogo e il confronto, ogni scelta contribuisce a plasmare una cultura aziendale più sana e produttiva. Investire nella costruzione di ambienti di lavoro basati sulla comunità non è solo un dovere etico, ma rappresenta anche la più solida strategia per garantire sostenibilità e successo nel lungo termine.