di Annapaola Voto
Vista da chi opera all’interno della Pubblica Amministrazione, la discussione sulla grande questione della transizione digitale quasi sempre si concentra sugli aspetti della trasparenza degli atti, del potenziamento dell’infrastruttura, in una logica di interoperabilità tra gli enti, di tutela dei dati, di estensione dei servizi ai cittadini per una maggiore efficienza e accessibilità di essi. Tutti obiettivi necessari. Una priorità per l’Ue e gli Stati membri. Più raramente si affronta la questione, a mio avviso parallela e contestuale, delle competenze digitali di chi accede ai servizi, cioè dei cittadini, una delle sfide più urgenti e complesse dell’attuale panorama socio economico italiano. Se il rapporto tra cittadini e istituzioni è sempre più mediato da strumenti digitali, il cambiamento profondo non riguarda soltanto la cultura organizzativa e la competenza professionale dei dipendenti pubblici. Se vogliamo davvero, come indica il Dipartimento per la trasformazione digitale del Governo italiano, rendere la PA la “migliore alleata” di cittadini e imprese, lo scatto in avanti dei processi di informatizzazione pubblica, in assenza di concrete politiche di abbattimento del gap digitale delle fasce di popolazione più svantaggiate, rischia non solo di rallentare il raggiungimento degli obiettivi ma di comprometterli sul piano della sostenibilità sociale. Si rischia, cioè, di vanificare il cammino sostanziale dell’inclusione impedendo ai cittadini, in ultima analisi, di esercitare i propri diritti. Non è soltanto una questione anagrafica. Sono soprattutto i divari economici ed educativi a determinare disparità nell’accesso alle tecnologie. Il divario digitale è una grande questione di responsabilità democratica, che riguarda le condizioni di pari partecipazione alla vita politica e sociale. È con questa prospettiva che ho portato il contributo di IFEL Campania al progetto europeo “Small Claims Analysis Net 2”, partecipando a Bruxelles alla conferenza finale organizzata dall’università di Vrije e dal consorzio Scan2 (Small Claims Analysis Net) relativa alla risoluzione delle questioni giuridiche sovranazionali. Se, ad esempio, appaiono facilmente raggiungibili gli obiettivi (è uno dei temi trattati) di adeguamento tra il Digital service act (la direttiva europea sul commercio elettronico) e l’Odr (la piattaforma web condivisa per la risoluzione di liti di piccole entità), e se sono parimenti condivise a livello europeo le misure di interoperabilità sul piano più generale dei rapporti tra legislazione nazionale e sovranazionale, resta sullo sfondo, per rimanere al nostro Paese, il problema di come supportare il circolo virtuoso educazione-crescita perché tutti abbiano pari dignità di accesso ai diritti di cittadinanza. Non c’è ragionamento sulla transizione digitale che non ponga la questione del “skill mismatch”, del divario, cioè, delle competenze e del ruolo delle regioni e degli enti locali nel promuovere percorsi di collaborazione tra istituzioni, formazione, università e aziende. Del resto il PR – Programma Regionale FESR 2021-2027 della Campania è definito in stretta coerenza con il quadro delle principali strategie europee e nazionali che individuano nella transizione ecologica e digitale i due pilastri su cui basare lo sviluppo economico e sociale dei territori, rafforzando la coesione. Il quadro strategico deve poi concretarsi di misure ed azioni per il raggiungimento degli obiettivi. Qui sta uno dei paradossi di questa stagione. Bisogna adeguare velocemente tempi, programmi e operatori diversi per contemperare l’attuazione del PNRR e i programmi Ue nel rispetto degli obiettivi della riforma della PA, e al tempo stesso bisogna rispondere alla domanda di competenze digitali che aumenterà sempre di più nei prossimi anni. È la vera sfida per la modernizzazione del Paese e la sua capacità di competere nel panorama internazionale.
È sull’accelerazione di questa sfida che, nell’ambito degli obiettivi del PNRR, è impegnata la Fondazione IFEL Campania in un panorama di riconosciuta competitività non solo nel contesto italiano ma anche nell’ambito di progetti europei condivisi di cui è capofila o partner. È allo stretto rapporto di sintesi comunitaria tra le articolazioni della PA e i cittadini che guardiamo con la nostra progettualità perché il linguaggio sia lo stesso sui due fronti, generativo di servizi per i cittadini da una parte e di fiducia dall’altra verso le istituzioni. Gli impianti normativi, storicamente, anticipano o si adeguano a una società che cambia velocemente. Ma questa società, questa del nostro tempo così indefinito e incerto, non può essere a maglie larghe. “No one left behind” è il preambolo dell’Agenda 2030, nessuno sia lasciato indietro. Se guardiamo alle riforme più recenti, a partire dalla legge 190/2012 (relativa alla digitalizzazione degli appalti pubblici) non v’è dubbio che sono stati fatti passi irrinunciabili sul piano della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Ma se il fine della trasparenza della PA è quello della comprensibilità e conoscibilità dall’esterno dell’attività degli enti pubblici, finalizzate a realizzare imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, non possiamo fermarci al tema della contrattualistica immaginando assolta la nostra funzione di trasparenza, se vogliamo che la transizione digitale sia un passaggio a una forma di Stato accessibile e amica. Come sempre le norme e i diritti hanno un’anima sociale, non possono cioè che esserci uomini e donne, con i loro bisogni, al centro delle politiche pubbliche. Con orgoglio posso dire che l’adeguatezza delle competenze professionali della Fondazione che ho l’onore di dirigere è la più grande garanzia perché il cammino verso l’attuazione della società digitale sia un vantaggio. Per tutti i cittadini della Regione Campania, nessuno escluso.