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Apprendimento permanente e educazione degli adulti: dalla Dichiarazione di Osnabruck al Piano Nazionale di Attuazione. Basterà per invertire i limiti il mismatch formazione-lavoro?

di Alessandro Coppola

I dati confermano che per trovare lavoro gli italiani ricorrono in modo sistematico ai canali informali e, quasi per niente, incidono le politiche di formazione e apprendimento permanente per gli adulti. Una recente ricerca Inapp mostra che, negli ultimi dieci anni, circa 5 milioni di persone – il 56% – abbia trovato una occupazione fuori dal mercato del lavoro palese con gravi conseguenze in termini di capacità di selezione del mercato e perdita di produttività.

Nel rispetto della scadenza concordata con la Commissione europea, il Ministero del Lavoro e il Ministero dell’Istruzione hanno trasmesso, nemmeno un mese fa, il Piano Nazionale di Attuazione alla Commissione europea, in osservanza della Raccomandazione VET e della Dichiarazione di Osnabrück[1].

Si tratta del documento fondante il nuovo paradigma – ex art. 36 Raccomandazione del Consiglio Europeo del 24 novembre 2020 relativa all’istruzione e formazione professionale (IFP) per la competitività sostenibile, l’equità sociale e la resilienza – dell’azione programmatoria del Paese in materia di politiche sociali, del lavoro e della qualificazione del capitale umano.

Il sistema delle politiche attive del lavoro è stato oggetto in anni recenti di diversi interventi di riforma: dal “Jobs Act” al Piano di rafforzamento dei servizi per l’impiego passando per la disciplina del Reddito di Cittadinanza e il “decreto Aiuti” (Dl n. 50/2022) per citare i più significativi.

Non soltanto per gli effetti della pandemia, il tema sul tavolo del Governo (anche di quello a venire) è offrire una piattaforma operativa rinnovata che, con particolare evidenza sui temi della IFP, spinga la programmazione secondo una visione strategica pluriennale capace di superare la mera somma di interventi frammentati, micro-settoriali o diretti a target specifici.

Il tema dell’occupabilità giovanile, delle competenze, del mismatch formazione-lavoro richiede, oggi più che mai, policies in grado di farsi carico della complessità dei fenomeni e delle problematiche senza cedere a pressapochismi vari o semplificazioni eccessive.

Grafica di Marika Sarno

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è l’atto programmatorio dal quale ci si aspetta un netto segnale di discontinuità nell’ottica del rafforzamento delle competenze, della transizione verso un’economia basata sulla conoscenza, degli investimenti in attività di upskilling, reskilling e apprendimento permanente.

In altre parole, un sistema integrato per far ripartire la crescita della produttività e migliorare la competitività delle PMI e delle microimprese italiane, incentrando azioni e interventi nel campo del rafforzamento delle competenze, in particolare quelle digitali, tecniche e scientifiche, come leva imprescindibile per favorire ed accompagnare la mobilità dei lavoratori – e dei cittadini, in generale – fornendo loro le capacità di raccogliere le future sfide del mercato del lavoro.

Promuovere la revisione della governance del sistema della formazione professionale in Italia, attraverso l’adozione del “Piano Nazionale Nuove Competenze”, sostenere l’occupabilità dei lavoratori in transizione e disoccupati, mediante l’ampliamento delle misure di politica attiva del lavoro, nell’ambito del nuovo “Programma Nazionale per la Garanzia Occupabilità dei Lavoratori (GOL)”, lanciare il sistema duale, adeguare l’offerta di istruzione tecnica e professionale alla domanda di competenze proveniente dal tessuto produttivo del Paese, in particolare per le competenze relative alla transizione digitale, ecologica e della sostenibilità ambientale, sono le linee di azione del PNRR per potenziare le politiche attive del mercato del lavoro, la formazione professionale e il potenziamento del sistema nazionale di istruzione.

Il Piano Nazionale Nuove Competenze (PNNC) rappresenta un forte impegno per definire livelli essenziali dell’IFP da assicurare su tutto il territorio nazionale. Il Programma di riforma Garanzia per l’Occupabilità dei Lavoratori (GOL), costituisce il perno dell’azione di riforma delle politiche attive per il lavoro che, in una logica integrata, sono sostenute dalle misure riguardanti la formazione professionale dei beneficiari nel Programma, in sinergia con il Piano straordinario di rafforzamento dei centri per l’impiego.

Il Programma GOL viene articolato in milestones e target: Milestone 1: adozione del decreto interministeriale per l’approvazione di GOL – oltre che di quello per l’approvazione del Piano Nuove Competenze – entro il 2021; Milestone 2: adozione di Piani regionali per la piena attuazione di GOL ed esecuzione di almeno il 10% delle attività previste entro il 2022; Target 1: almeno 3 milioni di beneficiari di GOL entro il 2025. Di questi, almeno il 75% devono essere donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under 30, lavoratori over 55; Target 2: almeno 800mila dei su indicati 3 milioni devono essere coinvolti in attività di formazione, di cui 300mila per il rafforzamento delle competenze digitali; Target 3: almeno l’80% dei CPI in ogni regione entro il 2025 rispetta gli standard definiti quali livelli essenziali in GOL.

Sotto altro aspetto, complementare, il Programma di investimento per il Sistema Duale promuove l’acquisizione di nuove competenze da parte dei giovani, favorendo l’incontro tra il sistema dell’istruzione e della formazione e il mercato del lavoro, perseguito attraverso il potenziamento delle misure di alternanza e – più specificatamente – del contratto di apprendistato duale.

Nell’ambito del sistema nazionale di istruzione e con specifico riferimento al contesto Vocational Education and Training (VET) rappresentato dagli istituti professionali, è stata introdotta nel 2017 una significativa riforma che ha previsto radicali modifiche all’assetto didattico e organizzativo dell’offerta formativa e, soprattutto, che ha connotato gli istituti professionali secondo una nuova mission orientata a due obiettivi di sistema strategici: da un lato, la possibilità, per le scuole, di personalizzare l’offerta formativa in relazione ai fabbisogni, in termini di competenze, richiesti dai settori produttivi e dal mondo del lavoro e, dall’altro, l’opportunità di personalizzazione degli apprendimenti a misura del singolo studente per consentire il protagonismo dei giovani quale leva per la costruzione del sé e adattare l’offerta formativa ai diversi talenti e stili di apprendimento, incidendo sulla riduzione del tasso di abbandono scolastico e sul raggiungimento del successo formativo. Dopo oltre un lustro gli istituti professionali sono ancora al guado tra conservazione e innovazione, smarrendo quasi totalmente il proprio ruolo nel tessuto connettivo e nella relazione giovani-adulti.

Dalla ricostruzione del quadro strategico e normativo programmatorio, anche sula base delle evidenze statistiche recenti, non si può non evidenziare quanto siano complesse ed ardue le sfide che il sistema formativo nazionale è chiamato ad affrontare.

Il Piano Nazionale di Attuazione assume il compito di disegnare interventi di rafforzamento, accompagnamento e valorizzazione di attività in campo per contrastare cinque fenomeni di rilevanza primaria: bassi livelli di qualificazioni e analfabetismo funzionale, padronanza insufficiente di competenze digitali, bassa o nulla attrattività dell’IFP con scarsi livelli di partecipazione, mismatch orizzontale e verticale, complessità della governance.

È evidente come tali sfide siano fortemente interconnesse, originate, come sono nella maggior parte dei casi, da cause che implicano impatti su piani tra loro differenti: difficile inserimento occupazionale dei giovani e di reinserimento o sviluppo di carriera della popolazione più adulta, limitato esercizio della cittadinanza e scarsa partecipazione alla vita democratica, attribuzione di scarso valore all’istruzione, alla formazione e alla crescita culturale da parte di individui low skilled e low qualified, sottoutilizzo dell’offerta educativa e formativa disponibile.

Numerosi fattori influenzano il passaggio tra istruzione, formazione e lavoro e gli stessi percorsi di (re)inserimento lavorativo. Le scelte sono condizionate da molteplici vincoli personali, sociali, culturali, economici e relazionali. Perché il processo di intermediazione sia fluido e l’allocazione efficiente è necessario che la fase di searching e quella di matching siano pressoché sincrone e soddisfacenti in termini di coerenza tra esperienze formative e profili richiesti. Tali processi sono assai complessi e non sempre facilmente intellegibili.

Se, a giugno del 2021, sul Journal of Economic Literature, Barbara Petrongolo e Christopher Pissarides indagavano sul looking in the black box, il rischio della mancata attuazione di una riforma dell’intero sistema di Istruzione e Formazione Professionale è, purtroppo, quello di un solitario – nonché collettivo – getting lost in the black hole.

[1] Il 30 novembre 2020 è stata approvata la dichiarazione di Osnabrück in materia di istruzione e formazione professionale a favore della transizione verso un’economia digitale e verde. La dichiarazione integra la visione e gli obiettivi strategici definiti nella raccomandazione del Consiglio relativa all’istruzione e alla formazione professionale tese alla competitività sostenibile, all’equità sociale e alla resilienza avvalendosi di azioni a breve termine da completarsi entro il 2025. La dichiarazione ha quattro obiettivi di ampio respiro:
– resilienza ed eccellenza tramite istruzione e formazione professionale di qualità, inclusiva e flessibile;
– istituzione di una cultura dell’apprendimento permanente
– che promuove la sostenibilità mediante l’istruzione e la formazione professionale;
– un settore europeo dell’istruzione e della formazione e una dimensione internazionale dell’istruzione e della formazione professionale.

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